È passato circa un anno e mezzo dal termine dell’edizione 2020 del Venice VR Expanded, sezione dedicata alla realtà virtuale della Mostra del cinema: è quella la prima occasione in cui Vajont viene presentato al pubblico. L’opera, diretta da Iolanda Di Bonaventura e prodotta da Saverio Trapasso per Artheria, è poi risultata vincitrice della Biennale cinema college – Virtual reality: un programma di formazione e finanziamento di progetti in realtà virtuale, promossa dalla Biennale di Venezia.

L’OPERA è stata successivamente ospitata nel Museo Vajont – Attimi di Storia di Longarone, in un ciclo di eventi dedicato alla memoria del disastro e, dal primo marzo 2022, sarà disponibile sulla piattaforma online Oculus Store: tutti i possessori di un visore di realtà virtuale potranno così scaricarla e provarla dall’interno della propria casa.
Vajont è un’esperienza interattiva e in prima persona, collocata temporalmente qualche ora prima del disastro, datato 9 ottobre 1963. Una moglie e suo marito, abitanti di un piccolo nugolo di case al di sopra della diga, si interrogano sul proprio futuro. Divisi tra la possibilità di abbandonare la propria amata casa e quella di restare – nonostante il pericolo -, arriveranno a una decisione tramite l’interazione del partecipante. Il partecipante ha la possibilità di muoversi nello spazio, interagire con gli oggetti e fare scelte che influenzeranno il corso della narrazione. Quale sarà la decisione finale della coppia – abbandonare la casa natia, o restare? Il loro futuro è nelle mani del partecipante.
I personaggi rappresentano, metaforicamente, i sentimenti contrastanti delle persone che vivono nelle zone a rischio: la lotta profonda tra il nostro bisogno di appartenere a un luogo e il nostro naturale istinto di sopravvivenza. Quest’ultimo è un tema particolarmente caro per la regista, nata a L’Aquila nel 1993 e sopravvissuta al terremoto del 2009. «Possiamo accettare l’idea di essere costretti a proteggerci dal luogo al quale sentiamo di appartenere?», commenta Di Bonaventura in relazione al suo pezzo.
«Lavorando sulla stesura di Vajont – prosegue la regista – abbiamo cominciato a porci diverse domande. ’Cosa ci impedisce di andar via?’, ’Cosa ci tiene legati a questo luogo, nonostante esso non sia sicuro?’ sono stati questi gli interrogativi che ci hanno condotto verso un substrato più profondo: che cosa resta della nostra identità abbandonando il posto dove siamo cresciuti, la nostra casa, le nostre cose? Di cosa siamo fatti, in definitiva, noi esseri umani?».

IN UN’EPOCA che ha trasformato la simulazione in realtà, bisogna precisare che Vajont racconta la storia di fantasia di due personaggi, ispirata e iscritta all’interno di una cornice di eventi realmente accaduti. È poco etico confondere la verità con la sua rappresentazione, magari sfruttando l’immersività della realtà virtuale: le parole, la visione, il pensiero dell’autrice non vogliono assolutamente sostituire quelle di chi ha vissuto questa tragedia in prima persona.
Difatti, l’obiettivo di quest’opera non è la spettacolarizzazione del disastro né una documentazione dei più importanti fatti accaduti, quanto la riattivazione di processi di memoria e sensibilizzazione, in un contesto internazionale, dimostrando l’attualità di sentimenti e dinamiche istintive, di cui diventare consapevoli.