Per la Corte di giustizia europea, la Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen non ha garantito trasparenza nel negoziato sui vaccini anti-Covid. In due sentenze emesse ieri il giudice ha ritenuto irregolari le clausole di segretezza sui contratti stipulati con i produttori di vaccini tra il 2020 e il 2021, che la Commissione giustifica con la tutela degli interessi commerciali delle aziende. Le sentenze rispondono a due richieste di accesso agli atti presentate nel 2021 rispettivamente da cinque europarlamentari verdi e da un gruppo di privati cittadini.

Tre gli abusi rilevati dalla Corte. Il primo riguarda i risarcimenti per eventuali danni collaterali provocati dai vaccini, di cui si fecero carico gli Stati membri al posto delle aziende: il tribunale ha ritenuto che «la Commissione non ha dimostrato che un più libero accesso a questa clausola avrebbe danneggiato gli interessi commerciali». Anche le informazioni sulle condizioni di donazioni e rivendita delle dosi, tema fondamentale per l’arrivo dei vaccini nei paesi poveri, dovevano essere rese pubbliche. Per giustificarne l’oscuramento, la Commissione ha sostenuto invece la singolare e rivelatoria tesi secondo cui «considerazioni legate alla sanità pubblica non possono essere l’elemento determinante al riguardo».

Infine, la Corte ha sanzionato la segretezza sull’identità dei sette negoziatori che hanno trattato con le aziende per conto dell’Europa. «Solo conoscendo i nomi e i ruoli istituzionali dei membri del team di negoziatori – ha spiegato la Corte – si sarebbe potuto stabilire se essi avevano o meno conflitti di interesse». Non si tratta di una questione puramente ipotetica: le inchieste giornalistiche infatti hanno rivelato che nel gruppo figurava lo svedese Richard Bergstrom, fino al 2016 direttore della European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (Efpia), la lobby che difende gli interessi delle aziende farmaceutiche in Europa. L’Italia, secondo quanto appurato dalla trasmissione Report, inviò il segretario generale del ministero della salute Giuseppe Ruocco.

Le due sentenze fanno riferimento ai giorni più drammatici della pandemia quando i governi Ue si associarono per accaparrarsi i vaccini offrendo lauti profitti e condizioni legali vantaggiose.

La Commissione mantenne confidenziali i punti più delicati dei contratti a partire dal prezzo delle dosi, punto su cui ieri nemmeno la Corte europea ha avuto da ridire. Tuttavia, le inchieste hanno rivelato che i vaccini più usati, quelli a mRna di Pfizer e Moderna, furono acquistati a un prezzo medio di circa 20 euro la dose, cioè dieci volte più del costo di produzione. Per giustificare un compromesso così sbilanciato la Commissione ha sempre citato l’enorme pressione a uscire dall’emergenza, respingendo l’accusa di un’eccessiva condiscendenza dei negoziatori nei confronti delle aziende.

La stessa von der Leyen tuttavia è stata direttamente chiamata in causa e accusata di aver intrattenuto rapporti opachi con l’industria farmaceutica. Un’inchiesta del New York Times ha rivelato gli scambi di sms e telefonate tra la presidente della Commissione e l’Ad della Pfizer Albert Bourla all’inizio del 2021, proprio quando si concludevano gli affari. Nonostante le ripetute richieste di delucidazioni, von der Leyen ha sempre rifiutato di rendere pubblico il contenuto di quelle comunicazioni. Potrebbe essere nuovamente un giudice a obbligarla a fare chiarezza: per chiarire i fatti la Procura che indaga sulle frodi a danno delle finanze dell’Ue ha aperto un procedimento. Ma la prossima udienza è fissata per il 6 dicembre 2024.