I metalmeccanici della United Auto Workers (Uaw) sono entrati in sciopero allo scoccare della mezzanotte. Per la prima volta nella storia gli operai dei colossi automobilistici americani sono in agitazione contemporaneamente contro i Big Three di Detroit: Ford, General Motors e Stellantis, casa madre italo-francese-olandese-americana di Fiat Chrysler. Un paio d’ore prima la scadenza ufficiale data ai costruttori, il presidente del sindacato, Shawn Fain, ha dato le consegne per l’inizio dell’azione via diretta Facebook. Prime ad incrociare le braccia sono state le catene di montaggio Gm di Wentzville, Missouri, e degli stabilimenti di assemblaggio e pittura della Stellantis a Toledo Ohio e Ford in Michigan. Lo sciopero infatti è stato per ora indetto a scacchiera, «per dare massima incertezza alle aziende e mantenere massima flessibilità nei negoziati», ha affermato Fain. «Se dovremo ampliare lo stop lo faremo». La Uaw rappresenta 150.000 lavoratori e le fabbriche colpite producono alcuni dei modelli più popolari sul mercato, come i pickup Colorado della Chevrolet e Gmc Canyon, entrambe Gm, la Jeep Gladiator (Stellantis) ed i Ford Bronco.

SI TRATTA, non casualmente, di modelli Suv e pickup, tipologie che nell’ultimo decennio hanno fatto la fortuna dei costruttori a stelle s strisce, raggiungendo nel 2022 un incredibile 78,5% del mercato e con i maggiori margini di guadagno. I lavoratori chiedono migliori condizioni di lavoro e un aumento delle retribuzioni fino al 40% per riflettere gli utili da capogiro recentemente incamerati dalle aziende.

Il settore non è sempre stato così redditizio, versando viceversa in profonda crisi a cominciare dagli anni 70 e 80, quando la concorrenza dei marchi giapponesi aveva messo in ginocchio un’industria appesantita anche da contratti elargiti in regime di monopolio, quando la manifattura di auto aveva contribuito ad allargare i ceti medi del Midwest. Il declino è proseguito fino agli inizi dei 2000 quando un colosso come la General Motors, incapace di significativa innovazione, era giunto a dichiarare la bancarotta. Il fallimento aveva permesso di estrarre forti concessioni dal sindacato ma la situazione era precipitata ulteriormente con il crack del 2007-8, quando i conglomerati hanno beneficiati di un lauto bailout sottoscritto dai contribuenti.

Gli anni successivi sono stati all’insegna di una crescita parallela alle fortune economiche statunitensi ed al boom di Suv e crossover, al punto che per gli ultimi dieci anni un gruppo “fallito” come la Gm ha registrato ogni anno utili di circa 10 miliardi di dollari. Un successo costruito in gran parte sulle spalle dei lavoratori che però non hanno recuperato i benefici a loro tempo ceduti.

I sindacati hanno anche loro attraversato un periodo di crisi caratterizzato da calcificazione – e corruzione – dei vertici. Alla fine dello scorso anno i quadri di base sono riusciti ad ottenere una prima elezione diretta in cui è stato consacrato di misura Fain, 53enne militante elettricista Chrysler che conserva nel portafoglio uno scontrino paga del nonno, anche lui sindacalista di base della Chrysler. Fain ha rivendicato da subito un contratto che riflettesse le nuove realtà economiche delle aziende e facesse partecipe i lavoratori dello straordinario successo commerciale. Ed ha alzato il tono della retorica. In un recente video illustra, ad esempio, una contro offerta delle direzioni, definendola insultante prima di riporla nello «schedario che gli compete» (il cestino dei rifiuti). Dal canto loro i costruttori affermano di non volersi esporre ad «errori strutturali» del passato, in un momento di buona fortuna che potrebbe volgere altresì verso un prossimo futuro di grande incertezza. Soprattutto per l’incombente conversione elettrica, in cui agguerrite concorrenti cinesi potrebbero ricoprire il ruolo avuto a suo tempo dalla competizione giapponese.

LO SCIOPERO potrebbe avere effetti riverberanti su un settore centrale dell’economia soprattutto se si considera l’annessa filiera di fornitori ed indotto. Rischia inoltre di trasformarsi in scomodo grattacapo per il presidente Joe Biden – che pure ieri ha annunciato il suo sostegno alla lotta sindacale dei lavoratori delle Grandi tre.

COME È NORMA, la lotta dei metalmeccanici ha un valore altamente simbolico e promette di influire sulle sorti degli altri settori già in lotta in questa torrida estate che volge ad autunno caldo. Gli scioperi di Hollywood, ormai già al quinto mese, non trovano ancora sbocco e sempre a Los Angeles prosegue l’azione a singhiozzo degli alberghieri. Il mese scorso solo un accordo all’ultimo minuto ha evitato uno sciopero che avrebbe paralizzato le consegne Ups. In ognuno dei casi un movimento sindacale rivitalizzato post pandemia rivendica il ridimensionamento di una sempre più smisurata forbice di diseguaglianza. «Questo è il momento che definirà la nostra generazione», ha affermato ieri Fain. «I soldi ci sono, la nostra causa è giusta, il mondo ci osserva».