Per conoscere ufficialmente il nome del vincitore delle presidenziali in Uruguay bisognerà attendere ancora qualche giorno: a causa dell’esiguo vantaggio – di circa 30mila voti – del candidato conservatore Luis Lacalle Pou, del Partido Nacional, su quello del Frente Amplio Daniel Martínez, sarà necessario esaminare prima i 35mila «voti osservati» (quelli di chi, per necessità, ha espresso il proprio voto in un seggio diverso da quello assegnato) e i voti contestati. La sostanziale parità tra i due candidati appare peraltro sorprendente, considerando che i sondaggi davano Lacalle Pou in vantaggio anche di 7-8 punti.

MA PER QUANTO la rimonta del candidato del Frente Amplio sia stata notevole, è evidente che la destra può già cantare vittoria, dal momento che il voto «osservato» segue la tendenza generale, mentre, affinché Martínez possa ribaltare il risultato, sarebbe necessario che risultasse quasi tutto a suo favore.

Sta dunque per concludersi il ciclo dei 15 anni di governo del Frente – la coalizione di centro sinistra che ha visto alternarsi alla presidenza Tabaré Vázquez (2005-2010), José Mujica (2010-2015) e di nuovo Vázquez (2015-2019) -, caratterizzato da una crescita costante del Pil, dall’aumento dei salari e delle pensioni, dalla riduzione del tasso di disoccupazione e dell’indice di povertà e da importanti leggi in materia di diversità sessuale (matrimonio omosessuale), riproduzione (legalizzazione dell’aborto) e droghe (legalizzazione della marijuana). Ma né le conquiste ottenute – per quanto accompagnate da molti limiti, soprattutto rispetto al dilagante estrattivismo minerario e agricolo -, né l’esempio fortemente dissuasivo costituito dalla realtà dei paesi vicini retti da governi neoliberisti – hanno indotto l’elettorato uruguayano a continuare a scommettere sul Frente Amplio, colpevole del resto di un graduale slittamento verso posizioni conservatrici.

UNA DERIVA CENTRISTA che ha visto il governo distanziarsi dalla sua base sociale e cantare le lodi degli investimenti stranieri e dei trattati commerciali -voltando le spalle alle piccole e medie imprese a vantaggio delle transnazionali – proprio mentre il centro destra radicalizzava progressivamente il suo discorso.

E neppure particolarmente felice si è rivelata la scelta del 62enne Daniel Martínez, il quale, pur battendo al primo turno Lacalle Pou di oltre 10 punti (un risultato che altrove gli avrebbe garantito la vittoria al primo turno), è apparso incapace di suscitare forti passioni politiche come il più anziano ma ben più carismatico Mujica.

SU COSA AVVERRÀ ORA, molti sono ovviamente i timori, di fronte, per esempio, alle conseguenze della restaurazione neoliberista in Argentina, in Ecuador e in Cile. E per quanto il popolo uruguayano abbia bocciato la riforma costituzionale sulla militarizzazione della sicurezza pubblica, i militari recupereranno probabilmente un certo protagonismo grazie all’exploit del generale di estrema destra Guido Manini, giunto terzo alle elezioni del 27 ottobre (con circa l’11% dei voti) con il partito Cabildo Abierto, sostenuto da ex militari coinvolti in casi di tortura e sparizioni forzate durante la dittatura (1973-85).

Deposto da Tabaré Vázquez per le sue obiezioni sulla riforma delle pensioni militari e per le sue critiche alla giustizia sulle sentenze di condanna contro alcuni militari responsabili di violazioni dei diritti umani, Manini, con cui Lacalle Pou non ha esitato ad allearsi, si era del resto già fatto notare per i suoi attacchi alla «pretesa» di «continuare a chiedere conto all’esercito per quanto avvenuto 40 anni fa».