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Università, Clementi: «Mobilitazione a settembre. La protesta anche con gli enti di ricerca»

Università, Clementi: «Mobilitazione a settembre. La protesta anche con gli enti di ricerca»

Intervista Dottorando in Diritto comparato all’università di Macerata e rappresentante dell'Associazione dottorandi italiani, spiega: «Si vince un posto da ricercatore a tempo determinato in media a 41 anni di età. Il nuovo sistema varato allontana ulteriormente questo approdo»

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 8 agosto 2024

Davide Clementi è dottorando in Diritto comparato all’università di Macerata e rappresenta questa figura nel Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari e nel Consiglio Universitario Nazionale con i voti dell’Associazione Dottorandi Italiani. Sulla riforma Bernini è nettamente critico: «Rappresenta un’ulteriore proliferazione delle forme di precarietà che caratterizzano la vita accademica».

Peggio di oggi, dove si sopravvive tra borse di studio, assegni e «tenure track»?
Innanzitutto istituisce una nuova tipologia di collaborazione degli studenti anche nelle attività di ricerca, che prevede una sorta di «paghetta» (3.500 euro l’anno al massimo, ndr) in una riforma imbevuta di paternalismo. La figura dell’assistente alla ricerca, nelle due versioni «junior» e «senior» è lo spacchettamento del vecchio assegno di ricerca, più che il suo superamento. Al contratto di ricerca introdotto con la riforma del 2022 si affianca il contratto «postdoc» (post dottorato, ndr) rivolto alla stessa platea.

La ministra Bernini sostiene di voler smantellare il baronato universitario.
È il contrario e lo dimostra l’ulteriore nuova figura, quella del «professore aggiunto» nominato direttamente dal senato accademico. Non si attacca il baronato dando ancora più potere alle corporazioni accademiche e creando regole ancora più opache per i bandi di concorso.

La riforma del 2022 non era ancora andata a regime. Se non altro aveva il pregio di introdurre diritti laddove non ce n’erano.
È colpa del ministero se quella riforma non è partita: il contratto di ricerca non è mai entrato in vigore perché all’Aran il governo ha bloccato la contrattazione. Il risultato era prevedibile: università strozzate a livello di risorse hanno proseguito a usare contratti meno onerosi e più agili come gli assegni di ricerca. Con ancora meno tutele per i ricercatori precari.

La ministra ha parlato di una «cassetta degli attrezzi» per le università e di un «percorso a tutele crescenti». È così?
Quello disegnato dalla ministra è un labirinto pieno di vicoli ciechi. È un percorso intervallato da contratti e borse che non danno diritti e tutele. Prevede una carriera fatta di borse junior e senior, post-doc, contratto di ricerca, chiamata da professore aggiunto, intervallata magari da qualche mese di disoccupazione prima di approdare alla tenure track e all’ingresso in ruolo, se ci si arriva: facendo i conti, questo percorso arriva a durare 15 anni, trascorsi in gran parte senza le tutele minime riconosciute ai lavoratori.

Si arriverà alla cattedra ancora più tardi di oggi?
I sistemi tendono a usare tutte le flessibilità che hanno a disposizione. La legge Gelmini prevedeva un massimo di 11 anni di precarietà prima dell’ingresso in ruolo. Il sistema si è «adagiato» su questa soglia massima andando persino oltre: oggi la precarietà dura in media 12 anni e si vince un posto da ricercatore a tempo determinato di tipo «B» (il viatico per diventare professore universitario, ndr) in media a 41 anni di età. Il nuovo sistema allontana ulteriormente questo approdo.

Una riforma di solito prevede anche risorse aggiuntive per attuarla. In questi giorni si parla di tagli al finanziamento universitario. È un problema?
I diritti costano. Già per la riforma del 2022 calcolammo circa 5mila ricercatori in esubero, perché la legge aggiungeva tutele ma era accompagnata da un tetto di spesa che obbligava gli atenei a non superare la spesa storica relativa agli assegni di ricerca. Anche la riforma di oggi deve far fronte allo stesso tetto di spesa: tutte le figure previste dalla «cassetta degli attrezzi» devono essere bandite sulla base della spesa pregressa. Ma il governo per la prima volta ha ridotto il fondo di finanziamento ordinario per gli atenei: se si moltiplicano le forme contrattuali e si diminuiscono le risorse, le università si rivolgeranno necessariamente alle figure meno costose e con meno diritti.

La ministra ha aspettato agosto per annunciare la riforma. Come sarà accolta al rientro da studenti e ricercatori?
Lanceremo una mobilitazione per la fine di settembre, quando il parlamento inizierà a esaminare il disegno di legge, e abbiamo intenzione di saldarla con quella che riguarda i precari degli enti di ricerca. Bernini ha dichiarato di voler ascoltare tutte le categorie. Non aspetteremo che sia lei a convocarci.

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