«Gentiloni è una grande risorsa per il centrosinistra», «Non penso a un Pd senza Renzi» ma «è un momento di emergenza», di «collegialità», «non è il momento di escludere ma di includere. È bene che tutti i leader del Pd si mettano assieme a un tavolo». Da 8 e mezzo, su La7, Walter Veltroni sferra l’attacco forse più severo contro Renzi arrivato da un «big». Il giorno dopo il voto all’unanimità sulla linea di Renzi, sebbene recitata in direzione dal reggente Maurizio Martina, nel Pd ricominciano le divisioni sanguinose. La linea del «no ai 5 stelle» è passata, ma «non per questo le diverse sensibilità scompaiono», scrive profeticamente il coordinatore del Pd Lorenzo Guerini su Democratica.it.

Neanche a dirlo. Renzi attacca Grillo che rilancia il referendum sull’euro («Da quando ha capito che non andranno a Palazzo Chigi hanno sbroccato e ripreso con insulti e follie»), e si dichiara «orgoglioso» di aver contribuito a far saltare le fantasie di accordo con i 5 stelle di alcuni dirigenti Pd. Dario Franceschini, grande accusatore dell’ex segretario nel corso della direzione, è duro: «Riflessione superficiale e sbagliata», dice, «Proprio il fatto che Grillo e 5 Stelle tornino ai toni populisti e estremisti, dimostra che avremmo dovuto accettare la sfida di un dialogo». Anche Cesare Damiano attacca: «Renzi orgoglioso di aver ostacolato il positivo lavoro svolto dal Colle. Davvero una bella soddisfazione».

A Damiano sembra assurdo ma è proprio così, nei fatti. Non lo dicono pubblicamente, ma Renzi e i suoi non hanno condiviso la regia di Mattarella in tutta la vicenda dello «stallo». Al capo dello stato imputano di non aver «persuaso» con i suoi mezzi i 5 stelle ad accettare un governo con la Lega, l’ipotesi su cui il Pd puntava per guadagnarsi la comoda posizione dell’opposizione. Un accordo di governo, quello giallo-verde, che per due mesi il Nazareno ha dato per certo, almeno nella propaganda. Adesso «il Pd ascolterà il Presidente Mattarella e proseguirà nel suo approccio», spiega Guerini. E già lunedì mattina la delegazione che salirà al Colle si dichiarerà favorevole a un «governo del presidente», come ha anticipato Andrea Marcucci.

Ma Veltroni a fare più rumore. Il fondatore del Pd critica a fondo la linea «dell’arrocco» consegnata da Renzi ai suoi nel giorno delle dimissioni. L’ex vice di Prodi elenca le occasioni perdute. Al posto di Renzi avrebbe fatto tutt’altro: «Avrei candidato a presidente del Senato Emma Bonino, che gli M5S avevano candidato al Quirinale, e gli avrei chiesto se ci stavano. Poi sarei andato da Mattarella a dirgli ’scegli una persona di qualità’. Un uomo come Raffaele Cantone, con attorno a lui un governo di qualità, con il consenso di Pd-Leu-M5S, ma con un contenuto di innovazione e di sfida». Su Renzi è definitivo: «La sinistra ha raggiunto il livello più basso della sua storia. Ha perso metà dei suoi elettori, un referendum molto importante che ho sostenuto, le amministrative e le politiche. Ma vuoi fermarti a capire cosa sta succedendo?».
E poi c’è la vicenda del futuro del centrosinistra. Veltroni indica Gentiloni come «risorsa». Oggi a Roma Nicola Zingaretti raduna la sua «alleanza del fare»: un’iniziativa regionale, ma sullo sfondo c’è il riscaldamento per il congresso. Che probabilmente avrà come altro candidato Graziano Delrio: altro coalizionista, come il presidente del Lazio.

In caso di voto anticipato, in cui però il Pd non crede, il Nazareno lavora a riesumare un’idea di alleanza, recuperando (anche dall’oblio) Liberi e uguali e suscitando una ’cosa’ centrista moderata, fin qui mai nata dalle ceneri di Alfano.

Ma l’ipotesi agita Leu. Sinistra italiana ha già spiegato a più voci di essere contraria all’alleanza con il Pd, anche derenzizzato (figuriamoci con Renzi segretario ombra). Possibile, la creatura politica orfana di Pippo Civati, è impegnata in questi giorni in un congresso nel quale i toni verso il Pd non sono teneri. E infine in Mdp, che il 12 maggio avrebbe in agenda la sua assemblea nazionale, si fronteggiano linee diverse: chi non vede altra strada che il ritorno all’ovile dem. Chi invece vede quella strada sbarrata: «Se qualche elettore aveva ancora qualche dubbio sulla trasformazione del Pd nel partito di Renzi dopo la direzione deve arrendersi alla realtà», spiega il capogruppo alla camera Federico Fornaro.