«Ben Ali è fuggito, Ben Ali è fuggito»: l’urlo liberatorio di un uomo che infrange il coprifuoco e percorre l’Avenue Bourguiba alzando le braccia al cielo risuona tra le mura seicentesche del Fort Saint-Jean a Marsiglia, dov’è ospitata fino al 30 settembre la mostra Instant Tunisien.

Era il 14 gennaio del 2011 quando il presidente della Repubblica tunisina – al potere da ventitré anni – abbandonava il Paese in seguito alle proteste popolari culminate quello stesso giorno con l’assedio al ministero degli Interni. A distanza di otto anni, il Mucem – Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée invita a reimmergersi nel clima della rivoluzione tunisina, la più durevole delle primavere arabe.

Curata da Houria Abdelkafi con Élisabeth Cestor, l’esposizione racconta ventinove epiche giornate di lotte e repressioni attraverso video, foto, blog, registrazioni sonore ma anche poesie, slogan, canzoni e tutto ciò che la società civile riuscì a esprimere fondendo esperienza della strada e nuove tecnologie.

L’allestimento, realizzato da Géraldine Fohr e Renaud Perrin, si articola in sette sale caratterizzate da pannelli istoriati e da arredi ispirati ai cyber-café. Il percorso segue una linea temporale che prende avvio dal martirio del giovane ambulante Mohamed Bouazizi a Sidi Bouzid, 270 chilometri a sud della capitale.

Immolatosi con il fuoco il 17 dicembre del 2010 davanti al Governatorato per ribellarsi alle reiterate vessazioni di un’amministrazione corrotta e indifferente ai bisogni della comunità, Bouaziz spirerà senza poter assistere alla caduta di Ben Ali. Tuttavia, quel gesto estremo, divenuto il simbolo della cosiddetta «rivoluzione dei gelsomini», decreterà la costruzione del suo mito, ben illustrato nella rassegna.

A dare corpo alla narrazione di Abdelkafi e Cestor sono soprattutto i video girati con il cellulare da manifestanti e attivisti, che rilanciati sulla rete e poi ripresi da emittenti televisive quali Al Jazeera e France24, hanno rappresentato la principale fonte d’informazione della prima rivoluzione social.

Il ruolo dei cyber-dissidenti, indispensabili per allertare l’opinione pubblica internazionale e accrescere la mobilizzazione interna, è messo in evidenza nella terza sezione della mostra, in cui – tra i post Facebook e Twitter di utenti celati sotto nickname – spicca la figura di Lina Ben Mhenni, autrice del blog (poi diventato anche un libro) A Tunisian girl.

L’apporto dell’Ordine degli avvocati e dei sindacalisti per il rovesciamento del regime trova ugualmente spazio in un percorso espositivo coinvolgente, che trasmette le paure e la forza di un popolo e svela inoltre al pubblico – proprio grazie alla documentazione amatoriale – eventi meno mediatizzati ma fondamentali per la riuscita della rivoluzione, come le sommosse scaturite in ogni angolo del Paese dopo gli eccidi di Kasserine e Thala.

Il patrimonio digitale alla base della mostra è stato raccolto, per iniziativa dello storico Jean-Marc Salmon, da un collettivo che comprende la rete Doustourna e differenti istituzioni tunisine. Video, fotografie e testimonianze sono confluiti negli Archivi nazionali della Tunisia mentre caricature, disegni, graffiti e altre creazioni spontanee sono conservati, sempre a Tunisi, presso la Biblioteca Nazionale.

La fragile e «deperibile» memoria della rivoluzione è salva e a disposizione dei sovversivi «gelsomini» del futuro.