Le foto che nel gennaio 2011 partirono da Piazza Tahrir inondarono il mondo della potenza della rivoluzione egiziana. Tra le macchine fotografiche che l’hanno raccontato c’era quella di Esraa al-Taweel, giovane fotografa egiziana arrivata al Cairo nel 2010 a soli 17 anni.

Dalla caduta di Mubarak in poi Esraa ha vissuto sulla sua pelle tutte le politiche repressive che soffocano Il Cairo dal golpe del 2013. L’anno dopo, il 25 gennaio 2014, era a Mohandesin con la sua macchina fotografica per immortalare le proteste di un popolo frustrato per la permanente assenza di democrazia: è stata ferita da una pallottola che l’ha lasciata paralizzata per un anno.

Qualche mese dopo, giugno 2015, è stata arrestata. Scomparsa: «Stavo cenando con degli amici a Zamalek – racconta Esraa – quando siamo stati presi dai servizi di sicurezza. Sono stata fatta sparire per 15 giorni. Mi hanno interrogato e il procuratore mi ha accusato di disseminare informazioni false». A casa è tornata sei mesi dopo, a dicembre, per finire agli arresti domiciliari.

Da gennaio è libera. E vuole riprendersi la macchina fotografica che la polizia le ha strappato via quando l’ha fatta sparire dentro una prigione. Per farlo ha lanciato una campagna di crowdfunding che in 5 giorni ha già raccolto quasi la metà del necessario: 4.550 dollari dei 10mila richiesti.

La sua campagna dice molto: le difficoltà di una giornalista indipendente, la repressione di Stato, le scomparse forzate. Migliaia da quando Abdel-Fattah al-Sisi si è preso la poltrona di presidente con la forza militare, mai così tante nemmeno sotto Mubarak. Eppure c’è chi nega l’innegabile: il Ministero degli Interni – principale responsabile della politica delle sparizioni forzate – martedì ha scacciato l’argomento come si scaccia una mosca. «In Egitto non esiste il crimine di sparizione forzata, non ci sono vittime nelle prigioni egiziane», ha detto il vice ministro Ali Abdel-Mola, spiegando il nuovo rapporto del dicastero che tratta – o meglio nega – la questione.

A costringere il Ministero a compiere un’indagine è stata l’agenzia di Stato National Council for Human Rights, secondo cui negli ultimi anni 331 cittadini sono spariti involontariamente. Molti di meno di quelli calcolati da organizzazioni indipendenti: l’Egyptian Commission for Rights and Freedom (Ecrf) ha documentato nel solo 2015 1.840 casi di desaparecidos, altri 202 quelli da gennaio a marzo 2016. Non sembra quindi una coincidenza che tra le 1.270 persone arrestate il 25 aprile ci sia il direttore dell’Ecrf, Ahmed Abdallah. Una figura simbolica: noto difensore dei diritti umani in Egitto, è anche il consulente della famiglia di Giulio Regeni, vittima delle sparizioni forzate e del controllo capillare della società civile da parte dei servizi interni.

Esraa con la sua macchina fotografica rimette a fuoco un argomento scottante di cui in molti in Europa si sono accorti solo ora. Da giornalista conosce bene le violazioni del regime contro la stampa, oggi colonna del movimento anti-governativo. Ieri si è tenuta l’attesa riunione del sindacato della stampa, chiamato a individuare nuove misure nel conflitto con gli Interni: in centinaia vi hanno preso parte promettendo di proseguire nella protesta fino alle dimissioni del ministro Ghaffar. Qualche passo in avanti però c’è stato: martedì il sindacato ha accolto positivamente (in parte) il disegno di legge del governo per i media.

I giornalisti si sono detti soddisfatti per la cancellazione dei reati legati all’attività giornalistica e delle perquisizioni in case e uffici. Non piacciono invece le regole per lanciare nuove agenzie: servirà una società con un capitale minimo di 50mila dollari e un direttore con 10 anni di esperienza, requisiti che tagliano le gambe alle realtà indipendenti nate in questi anni.

La battaglia della stampa è ancora lunga. Di sostegno da fuori ne riceve poco, generiche parole di condanna occidentali al presidente al-Sisi. Ieri al-Cairo è tornato per la seconda volta in un mese il segretario di Stato Usa Kerry per discutere dell’iniziativa egiziana di mediazione nel conflitto israelo-palestinese. Fonti Usa hanno assicurato che Kerry ha affrontato anche la questione della repressione interna.

Ma a favorire l’ex generale è il ruolo centrale che si è ritagliato in Libia, nella “guerra al terrore” e nel settore energetico. I numeri snocciolati dal Ministero del Petrolio cariota parlano da soli: l’Egitto calcola che le attività estrattive dell’italiana Eni e della britannica Bp in tre giamenti di gas attireranno investimenti stranieri per 25 miliardi di dollari in 4 anni.