Partire a tutti i costi ad aprile perché a maggio ci sono le elezioni europee. Questo è l’obiettivo della corsa a tappe forzate dei Cinque Stelle e della Lega che vogliono sventolare nelle urne, in unico decreto, la bandiera di un sussidio truffaldinamente chiamato «reddito di cittadinanza» e quella delle pensioni «Quota 100» spacciate per una soluzione triennale ai problemi della «riforma» Fornero. Per quanto riguarda il «reddito» il primo problema è dato dalla sua natura ibrida, e malconcepita: è una legge per i poveri assoluti (1,3 milioni di famiglie italiane, discriminate 200 mila straniere extra-comunitarie); un sussidio di disoccupazione; una politica attiva del lavoro; un incentivo alle imprese a cui andranno 5-6 mesi di sussidio. Alla luce del complicato quadro degli ammortizzatori sociali e delle politiche del lavoro divise tra competenze regionali e statali, la sfuggente definizione di questo «reddito» può comportare conseguenze, al momento, imprevedibili fino a trasformarsi in una via crucis.

A MAGGIO i primi percettori del «reddito» (stimata una media poco credibile di 483 euro a testa decrescenti e a tempo) attraverso una carta digitale (da definire tutte le modalità, e realizzabilità) non troveranno i centri per l’impiego già adeguatamente riformati. Ci saranno, in compenso, i fondi: 7,1 miliardi di euro stanziati dalla manovra per il 2019, fino a un miliardo ai centri per l’impiego. Rischiano di essere sotto-utilizzati, a dir poco.

I PRIMI BENEFICIARI troveranno in primavera la situazione descritta ieri dalla Cgil in un rapporto sulle autonomie regionali: nel rapporto operatori/popolazione adulta e nella dotazione informatica insoddisfacente per il 70% dei Centri per l’impiego del Mezzogiorno, la rete dei servizi pubblici resterà deficitaria. In più non ci saranno i 4 mila «navigator» annunciati, quelli che dovrebbero svolgere il ruolo di manager dell’anima dei poveri, aiutandoli a stilare curriculum, sviluppare il loro «capitale umano», a motivarsi per creare «competenze» in un processo di «formazione continua» pensato per trasformarli in forza lavoro «occupabile».

QUESTO PIANO IDEALE, tratto da un manuale di teoria delle risorse umane, va calato nella realtà. In Germania, dove vige il sistema disciplinare chiamato «Hartz IV» hanno impiegato almeno quattro anni per fare funzionare l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro supportato da 100 mila dipendenti. In Italia lo si vuole fare in tre mesi con gli scarsi 8 mila operatori impiegati nei centri per l’impiego. E nella rosa anche 1.660 dipendenti concordati in passato. La sproporzione è colossale. Per colmare il divario servirebbero altre 30 mila assunzioni. Una cifra oggi impensabile in Italia. Non è, al momento, nemmeno chiaro chi dovrà assumere i «navigator». Si dice l’agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal servizi), creata dal Jobs Act. Quella che non riesce a stabilizzare gli oltre 600 precari che da anni aiutano i precari a trovare un lavoro. Potrebbero farlo invece le regioni. Venti bandi per venti regioni. Entro aprile 2019. La sola idea è incredibile. Si presume che il governo finirà per appoggiarsi sulla rete del «reddito di inclusione» (ReI), voluta dal Pd e attualmente in vigore, per simulare l’esistenza di un «reddito» come lo vogliono i Cinque Stelle. Poi si vedrà.

IN UNA BOZZA DEL DECRETO emerge la volontà di creare un mercato in cui sono previsti «premi di produzione» agli operatori (pari ad un quinto del «reddito» dei beneficiari) che collocheranno più poveri/disoccupati, distribuendo il maggior numero di incentivi previsti dal nuovo assistenzialismo alle imprese. Anche i direttori dei centri per l’impiego saranno sul mercato. È prevista la rotazione ogni 4 anni nei limiti di 80 km. Oltre sarà incentivata. Questi elementi dimostrano che l’orizzonte del «reddito» non è l’assistenzialismo, ma la creazione di una nuova burocrazia che metterà in competizione le agenzie interinali o gli enti di formazione. Tanto più riusciranno a collocare i poveri con un Isee non superiore a 9.360 euro, tanto più riceveranno bonus. Il business sul lavoro precario è diffuso in Europa, ma da anni si discute sulla sua efficacia. In Italia, invece, lo si vuole implementare.

È SCARSAMENTE credibile anche l’idea che questo sistema produca tre proposte di lavoro per ciascuno degli almeno 3,5 milioni potenziali beneficiari (ma la platea va ancora definita). Senza contare gli stranieri extracomunitari esclusi, tranne i residenti da 10 anni. Un vulnus alla Costituzione che sommergerà il governo di ricorsi. Possibile, a questo punto, anche una bocciatura della Corte Costituzionale.

FINIRÀ CHE LE REGIONI, come la Lombardia, si dimostreranno più efficienti. anche grazie al «quasi mercato» con i privato presenti sul territorio. Si spiega così una delle ipotesi più inquietanti del progetto: l’obbligo per i disoccupati da sei mesi di spostarsi entro 250 chilometri, di 500 se sono senza lavoro da dodici.

IL «REDDITO» PENTALEGHISTA serve a disciplinare i comportamenti degli esclusi dal mercato, e delle loro famiglie, e a portare forza lavoro non qualificata nelle regioni dove esiste una domanda di lavoro. Nell’attesa dell’emigrazione interna i beneficiari dovranno formarsi e lavorare otto ore a settimana per lo Stato. Sarà il più grande sistema di sfruttamento del lavoro gratuito mai concepito dai tempi delle Poor Laws nell’Inghilterra del XIX secolo. E lo si vuole istituire in «nome del popolo». Un cortocircuito che spiega il carattere autoritario del populismo italiano.