Il giorno dopo l’arresto dei cinque poliziotti del reparto Volanti di Verona, arrivano altre misure interdittive emesse dalla gip Livia Magri a carico di altri agenti – complessivamente 17 gli indagati e 23 i trasferiti – relativamente all’inchiesta sulle presunte torture e i maltrattamenti inferti a migranti, senzatetto e tossicodipendenti arrestati o fermati (per due poliziotti anche l’aggravante dell’odio razziale), con sospetti di peculato, falso, omissioni e abuso d’ufficio . Secondo la giudice infatti si trattava di «un modus operandi consolidato», che emerge bene nei sette episodi accertati dalla procura scaligera nel periodo che va da luglio 2022 a marzo 2023, ma che caratterizzava tutto il loro lavoro di tutori dell’ordine. Non solo episodi isolati, dunque. E di cui erano a conoscenza anche altri colleghi.

IN PARTICOLARE per uno degli arrestati A. M., dalle cui conversazioni telefoniche con la fidanzata si sono tratte informazioni utili alle indagini, secondo la gip «sarebbe stata indispensabile la custodia in carcere». Anche se, scrive, non si «può applicare misura più gravosa rispetto a quella richiesta dal Pm». Il poliziotto è accusato di aver torturato «con sadico godimento» almeno due uomini di cui uno, Mattia, l’unico italiano, avrebbe perso perfino la memoria del pestaggio, dopo essere svenuto. A. M. è accusato anche di peculato per essersi impossessato di una quantità di hashish sottratta ad un piccolo spacciatore, nell’ottobre 2022. Un altro episodio molto inquietante in cui l’agente è coinvolto riguarda la perquisizione dell’abitazione di un trafficante d’armi albanese, tale Artan Bajraktari, buttafuori al Piper e amico del poliziotto 25enne amante delle discoteche. In quell’occasione, la squadra della Volante veronese avrebbe, secondo l’accusa, “dimenticato” di sequestrare due fucili e un caricatore. Allo stesso modo, chiamati ad intervenire la notte del 24 marzo 2022 in casa di Sabah Bajraktari, fratello del buttafuori che stava minacciando con una pistola la sua fidanzata, la squadretta avrebbe volutamente ignorato l’arma modello Makarova e messo frettolosamente fine all’intervento.

MA IL GIORNO DOPO degli arresti che, bisogna sottolinearlo, arrivano a conclusione di un’indagine veloce, puntuale e scaturita dall’iniziativa autonoma del questore Roberto Massucci (che due mesi fa ha sostituito la collega Ivana Petricca, trasferita ad altro incarico al Viminale), gli occhi e le orecchie sono puntati anche sulle reazioni dei sindacati di polizia. I segretari generali delle maggiori sigle si sono chiusi in un imbarazzato silenzio per ventiquattr’ore, hanno rifiutato telefonate e spento microfoni.

POI IERI Siulp, Sap, Siap, Fsp, Coisp e Silp hanno emesso una dichiarazione stampa congiunta per assicurare «fiducia nell’operato della procura di Verona», sottolineare la presenza di anticorpi sani «che contraddistinguono l’operato e l’impegno quotidiano della Polizia di Stato», come effettivamente dimostra la stessa inchiesta, dichiarare «deplorevoli» i fatti «se confermati» (simile affermazione da parte del capo della Polizia Vittorio Pisani e del ministro degli Interni Piantedosi), ma soprattutto per evidenziare «che non possiamo condividere posizioni o tifo da stadio su episodi isolati». E tornare a denunciare «carenze di personale, logistica e un quadro normativo complesso e contorto che, certamente, non aiuta e contribuisce ad alimentare i noti livelli di stress della categoria» (non è chiaro se in questo quadro inseriscono anche la legge sulla tortura). La polizia di Stato, scrivono i segretari, «non teme la trasparenza».

Perciò da loro arriva il via libera alle «body cam», in modo «da poter riprendere e registrare tutte le fasi dei nostri interventi». Ma è l’unica forma di controllo che i sindacati hanno sempre accettato, sebbene la stessa inchiesta di Verona dimostri come le telecamere installate nelle stazioni di polizia venissero bypassate. Questa volta però le maggiori sigle sindacali arrivano ad affermare la volontà di inibire «la residua cultura corporativa» e rafforzare «il processo democratico» iniziato con la legge di riforma del 1981. Purtroppo però di codice identificativo, richiesto da più parti a tutela dei cittadini e anche dei lavoratori in divisa onesti, e utilizzato in tutti i Paesi civili, non parlano.