Nella notte tra il 3 e il 4 ottobre di un anno fa il rimorchiatore Mare Jonio lasciava il porto siciliano di Augusta diretto verso le acque internazionali tra Italia e Libia. Iniziava così la prima missione Mediterranea Saving Humans. «C’è una nave dei centri sociali che vaga per il mare», sbottò immediatamente l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini durante una delle sue dirette streaming più teatrali. Occhi strabuzzati e dito indice oscillante come un pendolo al contrario, il leader della Lega si aggirava ancora per le stanze del Viminale.

Nei primi dodici mesi di attività, Mediterranea ha collezionato accuse, denunce e sequestri, ma anche tanta solidarietà e un sostegno diffuso e trasversale.

Soprattutto, ha salvato 237 persone che rischiavano di morire in fondo al mare o di essere trascinate nuovamente nei campi di concentramento libici. Da quando è iniziata la missione, in Italia sono sbarcati 7.435 migranti (dati del ministero dell’Interno), mentre si stima che abbiano perso la vita nella sola rotta centrale 1.438 persone (dati del Missing migrant project, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni). I quattro salvataggi realizzati da Mediterranea sono tutti di quest’anno: 50 persone il 18 marzo; 30 il 9 maggio; 59 il 4 luglio (a bordo del veliero Alex); 98 il 28 agosto.

Dopo ogni salvataggio, un sequestro. Dopo ogni sequestro, il ritorno in mare. Con procedimenti giudiziari e multe salate a complicare la navigazione. Tre le inchieste aperte ad Agrigento sugli equipaggi di Mediterranea, per reati che vanno dal «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» alla «disobbedienza, resistenza e violenza contro nave da guerra nazionale». Sei gli indagati: i capitani Pietro Marrone, Massimiliano Napolitano e Tommaso Stella e i capomissione Luca Casarini, Beppe Caccia ed Erasmo Palazzotto (deputato di Liberi e Uguali). Quest’ultimo avrebbe potuto godere dell’immunità parlamentare ma ha deciso di rinunciarvi dichiarando: «nella vita bisogna sempre avere il coraggio delle proprie azioni». Dopo le inchieste sono arrivati i tentativi di confisca amministrativa del veliero Alex e l’ennesimo sequestro della nave Mare Jonio, ancora oggi bloccate nel porto di Licata proprio accanto all’imbarcazione principale della Ong tedesca Sea-Watch.

Sul versante pecuniario sono 66mila e 300mila gli euro chiesti dallo Stato per essere entrati nelle acque territoriali dopo le ultime due operazioni in cui Mediterranea ha tratto in salvo dei naufraghi. A tanto ammonta la pena da pagare secondo le moltiplicazioni stabilite dal Decreto Sicurezza bis. Ogni colpo dato a Mediterranea, però, ha fatto aumentare la solidarietà che ruota intorno alla missione. Per mare e per terra. Sono migliaia le persone che hanno contribuito al progetto: 3.667 donatori hanno partecipato al primo crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal basso, per un totale di 1.012.757 di euro; 387 sostenitori al secondo (ancora aperto e in evoluzione), raccogliendo 110.975 euro; altri 4.250 hanno donato su facebook per una cifra complessiva di 112.861 euro.

Circa 7mila donazioni sono arrivate direttamente sul sito. Ci sono poi tutti coloro che hanno creato gruppi locali di sostegno, quelli che hanno organizzato o preso parte alle iniziative di raccolta fondi o semplicemente acquistato un gadget, magari una delle inconfondibili felpe di colore «blu ryan» con la ciambella arancione in mezzo.

Quando si agitano teorie del complotto sui finanziatori delle missioni umanitarie bisognerebbe ricordarsi anche di questi numeri. Dietro di loro ci sono persone che dimostrano come non esista soltanto il paese raccontato dalle destre razziste. Averlo mostrato in maniera così netta è un altro dei meriti di Mediterranea.