Dopo una campagna elettorale costata decine di vite umane, con i social silenziati a 48 ore da un voto che si è svolto giovedì scorso senza osservatori internazionali perché tanto i dubbi espressi in passato sulla legittimità del processo elettorale sono caduti nel vuoto, Yoweri Museveni è vicino alla conquista del suo sesto mandato. Con circa metà delle schede scrutinate, ieri sera il 76enne presidente, da 35 al potere, era saldamente in testa con oltre il 60% dei voti.

Il doppio rispetto al suo rivale più accreditato, tra i dieci che erano in corsa. Il cantante e politico 38enne Robert Kyangulani, meglio noto come Bobi Wine, per tutta la giornata non si è dato per vinto, confinato nella sua residenza dall’assedio dell’esercito, ha denunciato aggressioni, pestaggi e arresti arbitrari dei suoi collaboratori. Oltre a ogni genere di brogli elettorali. E ha raccontato ad Al Jazeera di n on capire3 bene cosa stava succedendo, ma temeva per la propria vita.

Dopo un mandato parlamentare, diversi arresti, un paio di attentati subiti e infinite denunce dei metodi violenti del regime, ha smesso il basco rosso combat per abiti più sobri e di buona fattura. Per affacciarsi alle presidenziali in un crescendo di scontri e repressione, provando a capitalizzare l’enorme seguito di cui gode da sempre tra i giovani.

Il fatto che con un’età media inferiore ai 16 anni l’Uganda sia secondo solo al Niger nella classifica dei paesi più giovani del mondo dà la misura del potenziale. I “suoi” ragazzi non hanno avuto altri presidenti all’infuori del paternalista e sempre più autoritario Museveni, percepito come come un tappo alle loro più elementari aspirazioni di libertà. Quelle che Bobi Wine ha messo già in musica. Non ha dovuto aggiungere granché al suo programma per sfidare un apparato di sicurezza che difficilmente volterà le spalle al vecchio capo per un rapper.

Museveni si vanta di aver migliorato le condizioni economiche degli ugandesi ed è un fedele alleato nella guerra al terrorismo jihadista da Usa e Ue, mentre l’Onu paga profumatamente il disturbo di ospitare un milione e mezzo di profughi prodotti dai conflitti in Congo e nel Corno d’Africa.

Per i seguaci di Bobi Wine, ma anche per chiunque abbia a cuore il monitoraggio dei diritti umani nel Paese, è un dittatore dai metodi spietati, omofobo e gravemente allergico alla libertà di espressione. Che con la scusa delle notizie false diffuse a ripetizione, in verità da entrambi i lati della barricata digitale, ha oscurato i social con lo stesso piglio sfoggiato al momento di rimuovere dalla Costituzione il limite di 75 anni per candidarsi. Non un presidente per giovani.