Alla ricerca del gruppo perduto. Quello rosso-bruno a cui pensano i 5S con i tedeschi di Bsw, oppure un nuovo contenitore dell’estrema destra? La fluidità delle squadre all’Eurocamera porta a nuove variazioni di peso delle formazioni parlamentari, con tanto di evocazione periodica di questa Araba fenice dell’Eurocamera. Giovedì i conservatori di Meloni (Ecr) hanno annunciato il sorpasso, diventando terzo raggruppamento dietro Ppe e socialisti, a scapito dei liberali di Renew.

Già per questo in affanno, il gruppo macroniano ha dovuto subire la defezione della componente ceca: sette eurodeputati del partito Ano, guidato dall’ex premier Andrej Babis. Il distacco, avvenuto in nome «della sovranità ceca, contro l’immigrazione clandestina e il Green Deal», non porterà comunque la delegazione verso Ecr, che accoglie tre esponenti del partito dell’attuale primo ministro Peter Fiala, avversario di Babis a Praga. Piuttosto, ipotizza il leader di Ano, si potrebbe guardare a «un nuovo gruppo che forse emergerà».

Sul fronte opposto, un caso è quello dei Socialisti e democratici (S&D), il Pd è la prima delegazione del raggruppamento a cui spetta di diritto la guida, ma che cede lo scettro agli spagnoli del Psoe, con la riconferma come capogruppo dell’uscente Iratxe Garcia Perez. Per risolvere la controversia è dovuta salire a Bruxelles la segretaria dem Elly Schlein.

Il Pd avrebbe ricevuto garanzia sulla presidenza di due commissioni parlamentari. Inoltre – come confermano fonti dell’Eurocamera – sarebbe in corso una trattativa, da chiudersi entro lunedì, per una staffetta che assicura metà mandato di capogruppo alla delegazione spagnola, l’altra metà a quella italiana. A proposito di dispute interne, la settimana politica europea che si chiude oggi aveva visto anche l’inedito conflitto tra FdI e il premier ungherese Viktor Orbán. A lui il presidente di Ecr Nicola Procaccini aveva chiesto un impegno chiaro in favore dell’Ucraina, nel caso in cui avesse voluto unirsi ai conservatori e dopo che gli esponenti del partito Fidesz avevano dato l’aut-aut sull’adesione al gruppo di Meloni del partito romeno ultranazionalista e anti-ungherse (che appunto è entrato in Ecr).

Il premier magiaro ha iniziato ieri da Berlino, dove ha incontrato il cancelliere Scholz, un tour delle capitali europee in vista delle nomine di vertice nel prossimo Consiglio Ue del 27 e 28 giugno. Mercoledì a Parigi vedrà Macron, ma prima sarà a Roma lunedì per un colloquio con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Al netto dei paletti su Kiev imposti da Ecr, nell’incontro si affronterà presumibilmente anche il nodo del coordinamento tra le forze di destra in Europa.

A dividerle resta è l’allineamento internazionale. Nel corso dell’intervista settimanale alla radio di Stato, il leader di Fidesz è tornato a sferzare l’Ue, retta da una «coalizione a favore della guerra, della migrazione, nemica dell’economia», con al centro le tre grandi famiglie politiche (Ppe-socialisti-liberali) che sostengono l’ipotesi von der Leyen bis. Ed è ancora una volta dalla capitale europea che arriva un dispiacere per Budapest: dopo mesi di rinvii e ostruzionismo (di Orbán), martedì prossimo si apriranno i negoziati di adesione nell’Ue per Ucraina e Moldavia.

«L’Ucraina ritorna nell’Europa, alla quale appartiene da secoli, come membro a pieno titolo», ha commentato sul social Zelensky. Rischia di essere l’ultimo atto della presidenza di turno belga dell’Unione. Da luglio al timone ci sarà proprio il premier ungherese. Visto il motto trumpiano scelto per il semestre («Make Europe great again»), difficilmente Budapest farà felice Kiev.