L’incontro di ieri in Francia tra Emmanuel Macron, Angela Merkel, Jean-Claude Juncker e Xi Jinping è stato inaspettato e interlocutorio, ma ha tratteggiato le linee lungo le quali le varie diplomazie saranno impegnate nelle prossime settimane. Ad aleggiare sul mini summit c’erano gli Stati uniti, i cui «negoziatori» arriveranno a Pechino il 28 marzo, e le relazioni ufficiali fra Unione europea e Cina che si incroceranno a Bruxelles il 9 aprile.

Gli eventi sono incatenati per diversi motivi: l’Unione è il principale partner commerciale della Cina, mentre il protezionismo Usa infastidisce sia Pechino, sia i paesi europei. Allo stesso tempo la battaglia sui dazi tra i due colossi economici (ieri il New York Times si chiedeva se l’Europa sarà «potenza» o «preda» in questo scacchiere) pone tutti i contendenti in una situazione delicata: gli Usa, perché le tariffe anti-cinesi hanno finito per peggiorare l’andamento delle proprie aziende di punta, vedi Apple; la Cina perché Pechino sa bene che un accordo con Washington sarà complicato e in attesa di uno sblocco la propria economia rallenta; l’Europa e in primis la Germania perché lo scontro sui dazi si ripercuote sulle economie europee. Un risiko complicato, movimentato dalla firma italiana sul memorandum of understanding sul progetto della Nuova via della Seta.

Proprio la mossa di Roma ha spinto Macron a improvvisare un incontro con Merkel e Juncker come a dire che nell’Europa che conta l’Italia non è prevista. Analogamente Macron si era espresso in modo negativo sulla vicinanza italiana alla Cina, salvo poi firmare accordi miliardari con Xi. La stessa Merkel, campionessa degli accordi bilaterali con Pechino, si è espressa a favore del multilateralismo, un chiaro riferimento a quanto fatto dall’Italia.

Tra rivendicazioni e piccole ipocrisie, il summit di ieri ha riportato l’Europa in una posizione se non paritaria, quanto meno veramente negoziale nei confronti della Cina, con richieste abbastanza esplicite: reciprocità e una sorta di governance sui processi globali capace di offrire dei contrappunti allo strapotere cinese. Xi Jinping dal canto suo non è parso giocarsi le carte che presumibilmente verranno utilizzate dal premier Li Keqiang a Bruxelles il 9 aprile. Ha parlato di «momento complicato», nel quale «la fiducia e la cooperazione della comunità internazionale ne escono indeboliti».

Xi ha poi aggiunto che è necessario «prevedere il mutuo rispetto e la fiducia reciproca e mettere in valore il dialogo e la consultazione», sottolineando il bisogno di «cercare dei terreni di intesa al di là delle divergenze e portare un dialogo franco e approfondito».

Parole generiche che però hanno portato ad alcuni risultati, tenendo presente che un punto dirimente per la Cina sarà la questione delle telecomunicazioni. Huawei, l’azienda di punta cinese, ha già ottenuti importanti spazi nell’economia europea, ma il pressing americano si fa sentire.

Uno dei risultati, parziali, che Pechino può registrare sembra l’intenzione della Ue di poter ragionare su un modo per agganciarsi alla Via della seta, ben sapendo che un semplice memorandum of understanding, se non negoziato fino all’ultima parola, come accaduto con l’Italia, rischia di essere un lasciapassare totale nei confronti della Cina. In quanto europei – ha specificato Merkel – «vogliamo svolgere un ruolo all’interno del progetto della Nuova via della Seta».

Merkel ha poi sottolineato il bisogno di trovare «una certa reciprocità» all’interno dell’iniziativa. «Oggi in queste discussioni ho sentito che tutti i partecipanti vogliono apportare il loro contributo, vogliono che il multilateralismo come sistema possa continuare a esistere», ha concluso. Quando Merkel dice «una certa reciprocità» non è chiaro se esprima un sentimento tutto tedesco (la Germania è il partner europeo privilegiato della Cina, grazie alla sua potenza produttiva in settore chiave come l’automobilistico) o si riferisca a paletti che verranno fissati il 9 aprile.

A questo proposito, ieri a Bruxelles si è riunito il consiglio europeo e tra gli ordini del giorno c’era la relazione con la Cina. I punti salienti sembrano i seguenti: la Cina è un partner di cooperazione su cui c’è pieno allineamento, un partner di negoziato «con cui l’Ue deve trovare un equilibrio di interessi», un concorrente economico che ambisce alla leadership tecnologica e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi. E a proposito di «concorrenti», ieri Juncker ha precisato che si tratterebbe di «un complimento». La strada appare lunga, ma dalla Francia è arrivato un messaggio chiaro: si può negoziare, ma da pari.