Un «giorno storico», per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Bruxelles «raccomanda» al Consiglio di aprire i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia, che la Ue aveva accettato come candidati nel giugno 2022, allora un atto simbolico causato dall’aggressione russa. «Ce lo meritiamo», ha commentato il presidente Zelensky. Nel tradizionale “pacchetto” annuale sullo stato degli allargamenti, la Commissione invita a dare lo statuto di candidato alla Georgia, parzialmente occupata dalla Russia e dove l’adesione è «l’aspirazione della maggioranza dei cittadini». Porta socchiusa anche per la Bosnia, che potrà accedere allo statuto di candidato «quando i criteri richiesti saranno raggiunti».

Adesso la decisione definitiva passa ai 27, al Consiglio europeo di metà dicembre. Ucraina e Moldavia (e Georgia) erano “valutate” per la prima volta. Kyiv passa l’esame per aver rispettato 4 delle 7 richieste Ue: trasparenza nella selezione dei giudici della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della Giustizia, legge anti-riciclaggio, indipendenza dei media (mentre manca ancora la legge anti-corruzione e quella sugli oligarchi, oltre la tutela delle minoranze). Ma l’apertura dei negoziati non significa che l’Ucraina sarà a breve membro della Ue, ci sono 35 “criteri” da rispettare, la strada è lunga e in salita. E ci sono resistenze: il nuovo governo slovacco di Fico ieri ha bloccato la consegna di equipaggiamento militare a Kyiv, mentre in Polonia sono i camionisti a protestare e a bloccare tre posti di frontiera contro la “concorrenza” degli ucraini.

L’allargamento «è una politica vitale per la Ue», sostiene von der Leyen, che darà più peso geopolitico al blocco. Ma per allargarsi la Ue dovrà riformarsi, per evitare la paralisi a 30-35 membri. L’Ucraina inoltre è un grande paese agricolo, che assorbirà il grosso dei finanziamenti della Pac, ai danni degli altri paesi membri.

Per il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, la promozione di Kyiv e Chisinau «spinge la coda delle candidature precedenti, che hanno aspettato per anni»: per Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania, candidati da dieci anni, la Ue prevede un nuovo piano di crescita dei Balcani occidentali, una “facilitazione” per le riforme e la crescita di 6 miliardi di euro proposta per il periodo 2024-27, con versamenti condizionati alla realizzazione delle riforme richieste.