Combustione di vernici e coloranti tossici e perdite di ammoniaca in seguito al bombardamento di un magazzino e di una fabbrica di fertilizzanti nei pressi di Sumy, un impianto di riparazione di aerei e potenziale sito di stoccaggio di combustibile dell’aeroporto di Lviv completamente distrutti da un missile, un impianto di trattamento delle acque reflue che in seguito a una bomba sversa le acque nere nel fiume Nipro.

Sono solo gli ultimissimi eventi di una cronaca di guerra che fra le sue vittime silenziose conta anche l’ambiente. Il costo ambientale del conflitto in Ucraina sarà alto e prolungato nel tempo. A tenerne il conto giorno per giorno vi sono realtà come Ceobs, osservatorio inglese su conflitti e ambiente, che si impegna per aumentare la consapevolezza e la comprensione degli impatti che le guerre e le attività militari hanno sulla natura e le sue preziose risorse, e di riflesso sull’umanità.

IL RILEVAMENTO e la quantificazione dei danni sono complessi, in quanto a fare le spese del conflitto sono anche i sistemi di controllo. Nel suo ultimo report, aggiornato al 5 marzo, Ceobs segnala come il sistema ben sviluppato di stazioni di monitoraggio ambientale dell’Ucraina abbia interrotto il rilevamento quotidiano dell’aria e delle radiazioni a causa del conflitto: su 1.357 stazioni di monitoraggio dell’aria, solo 482 erano attive, mentre risultavano online 149 dei 331 punti di misurazione delle radiazioni, e nessun dato arrivava dalle quattro centrali nucleari attive.

OLTRE ALLE INFRASTRUTTURE energetiche (colpite centrali termoelettriche e metanodotti, con intere città al buio e al freddo), i depositi di combustibile sono fra i target principali delle azioni militari, siano essi di uso militare o civile. Secondo Pax, la più grande organizzazione per la pace olandese che sta a sua volta monitorando attentamente questo aspetto del conflitto, dal 24 febbraio al 5 marzo ci sono stati 11 attacchi ai depositi di petrolio e gas. Il primo è avvenuto nella notte del 24 febbraio contro le petroliere della base aerea di Chuhuiv, e il successivo incendio è stato catturato dalle immagini satellitari Planet. Il 26 febbraio, la Russia ha bombardato un deposito di carburante vicino all’aeroporto di Mykolaiv, provocando un enorme incendio e un pennacchio di fumo che ha attraversato un’area densamente popolata.

L’ATTACCO AEREO NOTTURNO del 27 febbraio contro la base di Vasylkiv, a sud di Kiev, ha illuminato il cielo a giorno e l’autocisterna ha continuato a bruciare per 24 ore. Secondo il Ministero ucraino per la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali (Mepnr), sono bruciati 20.000 m3 di diesel e benzina: l’equivalente di 20 piscine olimpioniche di combustibile, i cui fumi contenenti anidride carbonica, diossidi di zolfo e di azoto, benzopirene, polveri sottili, si sono sparsi sulle aree residenziali adiacenti. La stessa notte, l’esercito ucraino ha anche lanciato un missile contro un deposito di carburante dei separatisti sostenuti dalla Russia a Rovenky, una città mineraria a soli 50 km a sud di Luhansk, e a Kirovsky, a ovest della città di Donetsk, provocando perdite di carburante e un incendio.

UN DEPOSITO PETROLIFERO NEL CENTRO di Borodianka, una piccola città a ovest di Kiev, è stato colpito il 28 febbraio e visibile con i satelliti Viirs della Nasa, mentre un impianto di gas è stato colpito a sud-est della città di Kharkiv il giorno prima. Il 3 marzo, un’azienda petrolifera a Chernihiv è stata colpita dalla Russia: andati fuoco per giorni altri 5000 m3 di carburante, in una città già sotto assedio. I siti di deposito di carburante sono stati oggetto di attacchi missilistici quasi quotidiani, con tutte le conseguenze del caso: il 6 marzo nella base aerea di Vynnitsia, il 7 marzo nella città di Luhansk, la mattina presto dell’8 marzo quelli della città di Chernyakhiv.

UN ALTRO TARGET SONO I MAGAZZINI di munizioni, le cui esplosioni e la successiva diffusione di residui, comportano rischi enormi per la salute umana, a causa dell’esposizione ai resti delle spaventosamente innumerevoli sostanze tossiche contenute nelle munizioni: metalli pesanti (dal ferro al rame, dal cromo all’ uranio), ai propellenti (nitrocellulosa, nitrotoluene, nitroglicerina e molti altri) ai pirogeni ed esplosivi (dal trinitrotoluene al fosforo bianco). Sempre secondo Pax, nel corso dell’invasione le forze russe hanno preso di mira almeno 3 depositi di munizioni contenenti sostanze pericolose. Fonti di sostanze pericolose sono anche armi e munizioni abbandonate o danneggiate, e i veicoli militari che rimangono sul terreno: tra carri armati, camionette, lanciarazzi mobili, sono almeno 800 quelli ritrovati fino ad ora.

SONO GIA’ INGENTI ANCHE I DANNI alla sfera idrica del paese: oltre alle interruzioni dell’approvvigionamento idrico, la distruzione di ponti come quello sul fiume Oskol da parte delle forze ucraine per impedire i movimenti delle truppe russe, ha impattato sugli habitat fluviali, soffocati dai detriti e intossicati dagli inquinanti sversati in seguito agli incendi nei siti industriali. Si cominciano ad osservare anche i primi segnali idi inquinamento costiero, a causa degli attacchi alle strutture navali, come la Banglar Samriddhi al largo di Mykolaiv, o la Helt al largo di Odessa: colpite ed affondate, il carburante e le sostanze chimiche che trasportavano stanno fuoriuscendo localmente, e stanno ancora bruciando, come si vede sulle immagini del satellite Skysat. Inoltre, combattimenti vicino a Kherson che si contendono il ponte sul Dnepr hanno provocato nella Riserva della Biosfera del Mar Nero degli incendi rilevabili dallo spazio, che potrebbero aver distrutto alberi e habitat unici per gli uccelli nella più grande riserva naturale del paese. L’Ucraina, bagnata da due mari e solcata da numerosi fiumi, possiede habitat umidi eccezionali ed è zona di passo migratorio strategica: secondo il Ministero dell’Ambiente Ucraino sono 14 le aree Ramsar (aree umide di importanza internazionale) che sono diventate scenario di guerra e 20 le riserve e i parchi che hanno subito perdite.

L’INTENSIFICARSI DELLE OPERAZIONI sulle città aumenta i danni ambientali e sanitari dovuti all’uso indiscriminato di esplosivi nelle aree urbane, più densamente abitate e industrializzate: fanno impressione le immagini del lungo blob giallo che ha attraversato le strade di un distretto di Kijev in seguito alla distruzione di un sito di produzione e stoccaggio di schiume isolanti. E’ dalla crisi del Donbass del 2014 che il territorio Ucraino è sotto il fuoco dell’artiglieria. Secondo una valutazione del governo olandese, nel 2018 l’Ucraina ha prodotto 289,5 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui il 75% è stato prodotto dall’industria mineraria. Nello stesso anno le Nazioni Unite hanno riferito che il conflitto aveva distrutto almeno 530 mila ettari di terreno, fra cui18 riserve naturali. L’economia Ucraina, e del Donbass in particolare, è fortemente basata sull’industria pesante: secondo il Ministero dell’Ambiente ucraino, ci sono 23.727 imprese potenzialmente pericolose, di cui 2.987 immagazzinano pesticidi altamente tossici. Un paese sull’orlo del collasso non solo umanitario ma anche ambientale.