Un’escalation rapida, arrivata oltreoceano: l’uccisione di 13 cittadini turchi nel nord dell’Iraq, domenica, ha scatenato la reazione di Ankara che, accusato il Pkk, prima ha punito presunti sostenitori del gruppo con arresti di massa e poi se l’è presa con gli Stati unici, colpevoli secondo il presidente Erdogan di sostenere indirettamente l’organizzazione.

I corpi dei 13 ostaggi turchi ( poliziotti e soldati per lo più, e due civili) erano stati trovati due giorni fa in una grotta nel nord dell’Iraq, area in cui il Pkk ha la sua base operativa dopo il ritiro dalla Turchia seguito all’avvio del processo di pace, poi fatto fallire da Ankara. Erano prigionieri da anni.

Secondo la Turchia, sono stati giustiziati con colpi alla testa, secondo il Pkk sono rimasti vittime dei raid aerei compiuti dai jet turchi lo scorso 10 febbraio che hanno ucciso anche 48 combattenti curdi.

Ieri sono stati 718 gli arresti, pratica nota in Turchia, che via via ha colpito sindaci, leader politici, amministratori locali, semplici cittadini. In 40 città sono stati detenuti amministratori e membri dell’Hdp, il Partito democratico dei popoli, considerato dal governo il braccio politico del Pkk.

Oltre agli arresti di massa, la procura di Ankara ha aperto un fascicolo contro due parlamentari dell’Hdp, Huda Kaya e Faruk Gergelioglu, per post sui social: hanno scritto che i 13 ostaggi sarebbero ancora vivi se nella regione di fosse la pace. Per la procura è propaganda a favore di un’organizzazione terroristica».

E poi è stato il turno di Washington, di cui il governo turco ha convocato l’ambasciatore Satterfield per esprimere rabbia verso il comunicato – giudicato troppo debole – emesso sull’uccisione dei 13 turchi: «Avete detto che non eravate dalla parte del Pkk e delle Ypg (le unità di difesa curde del Rojava, ndr) – ha detto Erdogan in un messaggio tv – In realtà state con loro. Voi siete dietro di loro. Ci sono due opzioni: o state con la Turchia senza se e senza ma, senza fare domande, o sarete responsabili di ogni omicidio e bagno di sangue».

Nel comunicato “incriminato” – «una farsa», l’ha definito Erdogan – il segretario di Stato Blinken aveva scritto che avrebbe condannato l’azione del Pkk se effettivamente ne fosse risultato il responsabile. La verità è che Erdogan non ha mai mandato giù il sostegno militare fornito dagli americani, alleati nella Nato, al Rojava durante gli anni della resistenza contro l’avanzata dell’Isis.

Una “colpa” che per Erdogan non è stata lavata nemmeno con il ritiro Usa nell’ottobre 2019 che ha permesso ai soldati turchi e alle milizie siriane islamiste di occupare 100 km di corridoio lungo il confine (vale la pena sempre ricordare che Usa e Ue designano il Pkk come organizzazione terroristica).

Di certo c’è la minaccia, già reale, del ministro degli esteri turco Cavusoglu: gli ostaggi saranno vendicati. Le montagne di Qandil attendono nuovi raid, dunque, mai fermati ma costantemente riproposti con operazioni dai nomi diversi ma parte di un solo obiettivo. Solo mercoledì scorso è partita la missione Claw Eagle 2, che segue a Claw Eagle 1 a Claw Tiger, Claw e così via a ritroso. Il tutto in violazione della sovranità irachena.