Quando Desiderio Olmos ha lasciato la sua nativa Purmamarca, a Jujuy, non immaginava che i suoi prossimi trenta giorni sarebbero stati grigi come gli edifici della città. Quando ha salutato la sua compagna, i suoi figli, i suoi animali e le montagne colorate del nord dell’Argentina, ha pensato che l’assenza sarebbe stata questione di giorni. «Pensavamo che quando saremmo arrivati qui, il presidente ci avrebbe ricevuto direttamente e avrebbe rispettato la Costituzione decretando l’intervento della Provincia», dice, e ride come se sapesse di aver esagerato con le sue illusioni. Il presidente Alberto Fernández li ha finalmente ricevuti il 18 agosto, ma da allora nulla è cambiato per le comunità. Per questo motivo continuano a vegliare nella capitale. «La nostra provincia è ancora minacciata – continua – e non solo noi, ma l’intera popolazione, le sue risorse naturali, soprattutto l’acqua».

Desiderio Olmos è partito il 25 luglio con più di cento persone provenienti da varie località di Jujuy, in quello che è conosciuto come il terzo Malón de la Paz, un metodo di mobilitazione e di lotta (il malón era l’assalto punitivo a cavallo dei mapuche) che cerca di rendere visibili le situazioni di ingiustizia che si verificano nelle comunità native. In questo caso, il Malón rappresenta più di 300 comunità native che protestano contro una riforma della costituzione provinciale di Jujuy che favorisce l’insediamento di multinazionali minerarie in territori storicamente appartenenti alle comunità del nord del Paese.

L’INDIFFERENZA politica si spiega forse con una questione di tempistica: il Malón de la Paz è arrivato a Buenos Aires nel bel mezzo delle elezioni presidenziali. L’élite politica ha così scelto di evitare le richieste di queste popolazioni indigene, dal momento che sia il partito al governo che l’opposizione sembrano concordare sul fatto che l’estrattivismo minerario sarà una delle fonti di dollari per la martoriata economia argentina, che deve pagare il Fondo Monetario Internazionale e superare una tendenza inflazionistica che continua senza sosta.

IL TERZO Malón de la Paz è partito da Jujuy il 25 luglio e ha attraversato le città di Salta, Tucumán, Catamarca, Santiago del Estero, Córdoba, Rosario ed è entrato nella città di Buenos Aires la mattina del 1° agosto, un mese fa. Lo stesso pomeriggio ha chiesto un’udienza presso la Corte di giustizia con l’obiettivo di parlare con i giudici affinché dichiarino incostituzionale la riforma costituzionale di Jujuy. Al momento di andare in stampa, non erano ancora state ricevute. Da quel giorno sono “in veglia”, accampati davanti alla Corte suprema, il massimo organo giudiziario nazionale.

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A RICEVERLI è stato il presidente della Nazione, Alberto Fernández. Lo ha fatto dopo elezioni primarie in cui il candidato di estrema destra Javier Milei ha ottenuto un sorprendente 30% dei voti, riducendo il partito al governo al terzo posto. «Il presidente ha promesso di firmare un decreto per istituire una commissione composta da organismi nazionali e internazionali per indagare sui fatti di Jujuy», afferma Néstor Jérez, capo del popolo Ocloya di Jujuy. «Ci rendiamo conto che l’incontro è stato un primo passo per garantire la sicurezza giuridica e i diritti sanciti sia dalla Costituzione nazionale che dai trattati internazionali», ha dichiarato al manifesto.

NÉSTOR E DESIDERIO sono due degli oltre 50 maloneras e maloneros che ancora mantengono la rivendicazione a Buenos Aires. Dato il prolungamento della permanenza nella capitale, molti dei maloneros sono dovuti tornare nei loro territori. Per quanto tempo rimarranno nella capitale? «El Malón resterà a Buenos Aires – dice Desiderio – fino a quando non sarà realizzata la richiesta principale, cioè l’intervento della provincia; speriamo che avvenga con il rapporto di questa commissione internazionale, anche se sappiamo che ci vorrà del tempo. Saremo pazienti, non abbiamo fretta, perché la posta in gioco è alta: si tratta della storia stessa dei nostri popoli.

Qual è la dimensione globale di ciò che viene contestato oggi a Jujuy? «Stiamo perdendo un modo di vivere sul pianeta. La diversità nel mondo – dice Desiderio Olmos – significa che questo bellissimo modo di conoscere luoghi diversi, territori diversi, avviene non solo per la loro natura, la loro fauna, ma anche per le culture che compongono la diversità di questi modi di vita. La cultura di Jujuy è una cultura molto visitata, c’è molto turismo nella nostra provincia, e con l’applicazione di questa riforma, con l’ingresso della mega-impresa mineraria, l’acqua verrebbe privatizzata e i popoli nativi verrebbero perseguitati. Lo stile di vita delle persone che vivono in questa provincia è a rischio. Si tratta di una continuazione dello sterminio storico, ma ora con leggi e con l’imposizione della forza. Non permetteremo che questo accada».