Nelle carceri italiane ci sono meno di 60mila detenuti, ma nel paese che sogna Giorgia Meloni tutte le 127mila persone sbarcate quest’anno sarebbero dovute finire dietro le sbarre. Lo ha detto ieri la premier con un video che risponde alle bordate degli ultimi giorni partite da Salvini e dalla Lega sul terreno delle politiche migratorie. Secondo la leader FdI a causa dei precedenti «governi immigrazionisti» i posti nei Cpr sarebbero «scandalosamente esigui».

La premier Meloni nel videomessaggio di ieri sera

Per questo nel Consiglio dei ministri di lunedì darà mandato alla Difesa di realizzarne rapidamente degli altri – in località a bassa densità abitativa e in luoghi perimetrabili e controllabili – per rinchiuderci «chiunque entri illegalmente in Italia per tutto il tempo necessario alla definizione della sue eventuale richiesta d’asilo e per la sua effettiva espulsione nel caso in cui sia irregolare».

TRA LE MISURE straordinarie ci sarà anche l’innalzamento al massimo consentito dalle normative comunitarie del periodo di detenzione nei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr): 18 mesi. Una misura che potrà usare a fini propagandistici ma che non avrà alcun effetto reale. A parte privare inutilmente della libertà personale migliaia di persone. Perché i rimpatri sono comunque fermi sui numeri degli scorsi anni (meno di 3mila finora) e perché chiunque abbia avuto a che fare con un Cpr sa che se una persona non è stata identificata nei primi tre mesi non lo sarà dopo. La sua detenzione è dunque inutile: non si può espellere in nessun modo.

NEL VIDEOMESSAGGIO la leader di FdI, che teme di perdere consensi a destra nella corsa alle europee di giugno, ha anche annunciato che chiederà una missione europea. Non per fare ricerca e soccorso, limitare le morti in mare ed evitare che tutti i migranti che partono da Tunisia e Libia arrivino a Lampedusa, ma per «bloccare le partenze dei barconi». La proposta sarà avanzata nel prossimo Consiglio europeo di ottobre.

Non è chiaro se Meloni voglia una missione navale – dunque una sorta di blocco navale realizzato insieme alle autorità nordafricane, ammesso che queste siano d’accordo – o altro. Magari pattugliamenti congiunti sulle coste di partenza. In entrambi i casi si tratterebbe di azioni militari in territorio estero. In paesi instabili come Libia e Turchia. La strada è in salita, per non dire senza via d’uscita, ma con uno stop da parte dei partner europei la premier avrebbe una carta in più per scaricare su qualcun altro le responsabilità dei suoi fallimenti, di politiche e retoriche sull’immigrazione che non vogliono confrontarsi con la realtà.

LA CARTA DEL VITTIMISMO, che contraddistingue questo governo dal suo insediamento, è stata giocata anche ieri. Meloni ha dato la colpa a una parte d’Europa che rema contro il suo memorandum e vorrebbe «addirittura» sostenere che la Tunisia sia una dittatura e non costituisca un porto sicuro. Due elementi che è difficile contestare dopo il colpo di stato di Kais Saied e le immagini dei pogrom contro i migranti, poi lasciati morire nel deserto.

Secondo Meloni il difficile quadro internazionale crea il rischio che «diverse decine di milioni di persone» vogliano muoversi verso l’Europa. Delle tante cifre agitate in questi anni dalle autorità, e sempre smentite, questa è di gran lungo la più alta con almeno due zeri di vantaggio rispetto al solito.