Sardegna isola paradiso. Mare limpido, spiagge incontaminate, un paesaggio di aspra bellezza che si è salvato da aggressioni e scempi. È l’immagine che le agenzie turistiche danno di un’isola in cui l’industria delle vacanze si avvia a diventare una monocoltura. Dietro le quinte dell’isola paradiso c’è però un’isola inferno. Nella sua mappa i poligoni e le basi militari. Spazi rubati e devastati che, a partire dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, hanno occupato estensioni sempre più vaste.

ENTRARE IN QUESTI SPAZI nascosti per violarli, ovvero per rendere manifesta la logica di potere (politico, economico e militare) da cui sono nati e per cui continuano a esistere, è, da almeno settant’anni a questa parte, obiettivo di movimenti pacifisti e antimilitaristi la cui storia è radicata nelle specificità della società sarda. A ricostruire questo percorso di antagonismo arriva ora il saggio di Aide Esu Violare gli spazi. Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale (ombre corte, pp. 195, euro 13). Esu, che insegna Sociologia all’Università di Cagliari, ha già scritto in passato sulla militarizzazione della Sardegna e si è occupata anche di memoria e naturalizzazione della violenza nel conflitto tra Israele e Palestina. È quindi nell’ambito delle scienze sociali più che in quello storico che si muove il volume. Il cui interesse sta nella prospettiva di ricerca scelta da Esu, che legge l’attivismo pacifista e antimilitarista sardo alla luce della vasta letteratura che, nell’ambito delle scienze sociali, da decenni si occupa dei movimenti di resistenza alla militarizzazione di territori per lo più periferici e inseriti in contesti geopolitici in cui il dislivello di potere tra chi occupa gli spazi per usi militari e i movimenti locali che si battono per liberarli è determinante e assume, in genere, connotati coloniali e postcoloniali.

SPESSO E NON A CASO questi territori sono isole. «Parliamo di proteste racchiudibili – specifica Esu – in una mappa globale di azioni per tutelare la salute (Vieques, Portorico) e per rivendicare i diritti dei residenti (il caso delle Chagos), ma anche contro la violenza sulle donne (Okinawa) o contro il pericolo delle armi a testata nucleare (Comiso)».
Le tappe temporali delle pratiche di violazione degli spazi militarizzati individuate in Sardegna da Esu sono tre. Il primo momento di rottura è l’occupazione, da parte della gente di Orgosolo, dei campi di Pratobello, una zona a uso civico vitale per gli equilibri sociali ed economici della comunità barbaricina, in cui l’Esercito avrebbe voluto costruire un poligono di tiro. Siamo nel 1969. L’azione ha successo. Giovani formatisi politicamente nelle città (dell’isola e del continente) e nei movimenti studenteschi, insieme con i pastori e con una fortissima partecipazione femminile, in cinque giorni di occupazione dei terreni e di assemblea permanente dell’intero paese respingono il tentativo di consegnare lo spazio di Pratobello alle servitù militari. La tappa successiva è, a partire dagli anni Settanta e sino ai primi anni Duemila, la battaglia, di gruppi locali ma anche del movimento pacifista internazionale, per chiudere, nell’isola de La Maddalena, la base militare della Us Navy di appoggio a sommergibili ad armamento nucleare. Tempi certamente più lunghi rispetto a Pratobello, ma, anche qui, con un esito positivo: nel 2008 gli americani cedono e lasciano La Maddalena.

La terza tappa è segnata dalle azioni che, dall’inizio del nuovo secolo sino a oggi, hanno impegnato un composito fronte di resistenza contro l’occupazione militare nei poligoni di Quirra (il più grande d’Europa), di Teulada e di Capo Frasca. Un movimento che si è espresso in forme originali e che nei suoi esiti più recenti si è articolato, sotto la sigla A Foras, per nodi locali e secondo una pratica assembleare aperta che, su un registro intersezionale, consente a sensibilità differenti (pacifista-antimilitarista, femminista, ambientalista, indipendentista) di dialogare e di produrre analisi comuni e azioni di lotta unitarie. Diverse le criticità ancora da superare, ma anche una prospettiva aperta a sviluppi nuovi e promettenti.