La Turchia va al voto oggi per stabilire per la prima volta il capo dello stato a suffragio universale. Se nessuno dei candidati otterrà il 50% + 1 dei voti, il dodicesimo presidente della repubblica sarà eletto al secondo turno, il 24 agosto. Tre i concorrenti. Il premier Tayyip Erdogan, candidato del proprio Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), l’ex leader dell’Organizzazione della cooperazione islamica Ekmeleddin Ihsanoglu, candidato congiunto del Chp (Partito repubblicano del popolo, kemalista e laicista con elementi socialisti e liberali) e del Mhp (Partito di azione nazionalista) e Selahattin Demirtas, co-leader del Hdp (Partito democratico dei popoli) che include il movimento politico curdo e una costellazione di piccole formazioni della sinistra.

L’elezione diretta del presidente della repubblica, fenomeno nuovo per il paese, ha creato una situazione ambigua riguardo alla sua percezione. Secondo l’attuale costituzione turca (retaggio del golpe militare del 1980) il capo di stato è una figura che, pur detenendo una serie di poteri da utilizzare in condizioni straordinarie, è essenzialmente simbolica e super partes e, soprattutto, priva di potere esecutivo.

Non è così nelle intenzioni del premier Erdogan, il più favorito tra i tre candidati, che vuole invece utilizzare la circostanza elettorale per annunciare un sistema presidenziale de facto ed esercitare il potere esecutivo, giustificandolo con il voto diretto dei cittadini, senza tuttavia assumersi le responsabilità che questa posizione comporterebbe. Si prospetta dunque per la Turchia un passaggio pericoloso ad una forma di democrazia autoritaria, “voluta” dagli stessi elettori. Non a caso i due slogan più utilizzati dal premier – di cui sono colpe le pareti degli edifici di tutte le città principali del paese – sono «volontà nazionale» e «volontà e potere nazionale».

La maggior parte dei sondaggi dà per scontata la vittoria di Erdogan, con poca probabilità che si vada al secondo turno. Da quando l’Akp è salito al governo nel 2002, il premier non ha perso alcuna sfida elettorale, mantenendo il favore del 50% circa della popolazione.

Per l’opposizione invece la sua figura è diventata sempre meno «democratica conservatrice» – come era solito definirsi – e sempre più autoritaria e insofferente verso ogni dissenso. Le continue apparizioni in televisione, il linguaggio nazionalista intriso di riferimenti religiosi ammaliano milioni di persone che vedono in lui “un leader forte” capace di difendere gli interessi nazionali di fronte a qualsiasi affronto. E sebbene l’economia turca scricchioli ultimamente, i vantaggi economici che l’Akp ha portato a una grossa fetta di imprenditori di stampo conservatore sono ancora intatti. Nemmeno gli scandali di corruzione che hanno colpito l’esecutivo nell’ultimo anno portando alle dimissioni di ben 4 ministri, hanno scalfito la popolarità del premier il cui governo ha già in mano il potere legislativo ed esecutivo. Le leggi promulgate negli ultimi mesi hanno messo in ginocchio anche la magistratura. L’elezione alla presidenza sarà “solo” il coronamento di questa situazione.

Nella gara impari – sia dal punto di vista dei mezzi monetari che dal punto di vista della copertura mediatica – dei concorrenti Ihsanoglu e Demirtas ci sono alcuni elementi di novità rispetto ad elezioni passate. Il Chp e il Mhp hanno avuto l’infelice idea di presentare un nome sconosciuto ai più, puntando sul fatto che fosse conservatore ma laico e nazionalista, sperando che la sua immagine di diplomatico equilibrato potesse convincere parte del fronte anti-Erdogan. Sebbene tutte le associazioni alevite (da sempre fedeli elettori del Chp) abbiano annunciato di sostenere Ihsanoglu, sarà da vedere l’esito della fatica che a lungo la stessa base elettorale dei due partiti ha dimostrato nell’accettarlo.

Il primo candidato presidente curdo della Turchia promette invece di allargare le preferenze rispetto alla normale percentuale dell’Hdp. A votare Demirtas, che si presenta con un programma di “democrazia radicale”, saranno numerosi giovani di Gezi Park, le donne che vedono un costante attacco moralista proveniente dalle fila del governo nei loro confronti, buona parte del sudest curdo e la sinista turca. È più che probabile che Demirtas non ottenga una percentuale superiore al 10%, ma si tratterà comunque di una conquista politica importante per il movimento curdo e la sua evoluzione in “partito della Turchia”.
Resta infine il fatto che il sistema parlamentare è ancora intatto e in caso di elezione del premier, l’Akp sarà tenuto a trovare un nuovo leader e primo ministro. L’esecutivo turco non dispone infatti del numero di seggi sufficienti in parlamento per modificare da solo la costituzione e approvare il sistema presidenziale. Ci riproverà in occasione delle prossime consultazioni politiche, previste per il giugno 2015. E se l’elezione di Erdogan sembra dunque quasi certa, resta da vedere se l’Akp riuscirà a sopravvivere senza Erdogan.