Sono trascorsi sei mesi dall’invasione di Gaza e solo ora Ankara ha deciso di «limitare» il commercio con Israele. La decisione è stata presa un giorno prima dell’Eid al-Fitr, a seguito delle numerose proteste di strada verificatesi in questo periodo, concluse spesso con l’intervento aggressivo della polizia.

Dopo un periodo di silenzio, il governo turco a novembre aveva deciso che il presidente israeliano Netanyahu era un «criminale di guerra» e quanto accadeva a Gaza era un «genocidio». Tuttavia non ci è voluto molto per capire che si trattava di una posizione ambigua, a cui non sarebbero seguiti dei fatti.

Dal 7 ottobre a oggi, mentre l’esercito israeliano devastava la Striscia, numerose aziende turche continuavano a commerciare con Israele. È stato il giornalista turco in esilio, Metin Cihan, a rivelare la situazione: «Il 95% del fabbisogno nazionale del cemento e il 65% dell’acciaio utilizzato da Israele provengono dalla Turchia. Inoltre, il 65% del petrolio consumato da Israele proviene dall’Azerbaigian e dal Turkmenistan, trasportato attraverso oleodotti che passano per la Turchia. Infine, la Turchia è il principale fornitore di frutta e verdura di Israele e numerose aziende turche vendono energia elettrica a Tel Aviv».

ANKARA, INIZIALMENTE, aveva deciso di respingere le accuse di Cihan, nonostante il giornalista avesse fornito prove documentate ottenute dai siti ufficiali dei ministeri israeliani e turchi. In seguito, il governo centrale ha ammesso che il commercio proseguiva, «ma esclusivamente tramite aziende private». Tuttavia, poco dopo, Cihan ha dimostrato che la maggior parte di queste aziende erano legate al partito al potere, l’AKP, ai suoi alleati e anche alla famiglia del presidente Erdogan. Infine, pochi giorni prima delle elezioni amministrative del 31 marzo, Cihan ha dimostrato che anche lo Stato commerciava con Tel Aviv: «Eti Maden è un’azienda al 100% di proprietà statale e fa parte del fondo di protezione fiscale “Varlık Fonu” gestito da Recep Tayyip Erdogan. Da mesi, le navi turche trasportano il boro (minerale dai vari utilizzi, inclusi quelli bellici, di cui la Turchia detiene la maggior parte delle riserve mondiali, ndr) alla società israeliana ICL Group, la quale lavora per l’esercito». Il rapporto pubblicato dall’Istituto di statistica turco, TUIK, conferma le indagini di Cihan: il commercio tra Israele e Turchia è cresciuto del 20% nel gennaio 2024.

Recep Tayyip Erdogan
Recep Tayyip Erdogan foto Ap

DURANTE LA CAMPAGNA elettorale verso il voto del 31 marzo, uno dei partiti alleati di Erdogan, Yeniden Refah, ha insistentemente chiesto al governo di interrompere ogni tipo di relazione con Israele e di mettere in atto un vero embargo. «Vendiamo anche il filo spinato che Israele usa per isolare i palestinesi», diceva Fatih Erbakan, il leader del partito, pochi giorni prima del voto in cui otterrà il 6% dei consensi a livello nazionale, contribuendo alla sconfitta elettorale di Erdogan.

«Ogni giorno ci sono state proteste in piazza contro il governo, persino nelle città più conservatrici della Turchia. In risposta, il governo ha deciso di reprimere le manifestazioni con la violenza poliziesca. Forse oggi la Turchia è il paese che reprime più duramente al mondo le proteste a favore della Palestina», commenta Cihan questa situazione contraddittoria.

UN GIORNO PRIMA della fine del Ramadan, forse temendo eventuali proteste che sarebbero potute avvenire fuori dalle moschee dopo la preghiera, il ministero degli Esteri ha deciso di «limitare» temporaneamente, «fino al prossimo cessate il fuoco», il commercio con Israele di 54 prodotti. La risposta di Tel Aviv non si è fatta attendere. «Adotteremo le misure necessarie per infliggere danni adeguati all’economia turca», ha dichiarato il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz.

La profonda crisi economica in cui si trova la Turchia dopo la sconfitta elettorale del governo centrale potrebbe spingere Erdogan a cambiare la sua posizione? Risponde Metin Cihan: «La Turchia ha sempre seguito le politiche della NATO, degli Stati Uniti e di Israele nel Medio Oriente. Nonostante tutto ciò che i governi israeliani hanno fatto ai palestinesi, Erdogan non ha mai smesso di commerciare con Tel Aviv. Non credo che gli interessi molto i palestinesi, soprattutto se non riesce a trasformare la loro causa in un vantaggio elettorale».