Alle 14:46 dell’11 marzo di tre anni fa, il Giappone viveva il più potente sisma della sua storia, uno dei più forti su scala mondiale: 9.0 gradi di magnitudo. Un evento che ha scatenato reazioni a catena devastanti: per primo lo tsunami, che in alcuni punti ha raggiunto un’altezza di oltre 40 metri. Poi l’incidente nucleare alla centrale numero 1 di Fukushima.

Il bilancio è ad oggi di circa 16mila vittime a cui si aggiungono oltre 2.500 dispersi e circa un milione di edifici distrutti o seriamente danneggiati. La ricostruzione procede a rilento e con i preparativi per le Olimpiadi di Tokyo 2020 potrebbero subire un ulteriore frenata. A lanciare l’allarme sono stati alcuni amministratori locali delle tre provincie più colpite dal «triplo disastro» – Fukushima, Miyagi e Iwate – raggiunti da un sondaggio dello Asahi Shimbun.

I lavori per Tokyo 2020, per cui è previto uno stanziamento di circa 142 miliardi di euro sottrarranno materiali edili e lavoratori alle opere di bonifica e ricostruzione del territorio colpito da terremoto e tsunami e interessato dalle perdite radioattive. Anche i più ottimisti si augurano un maggiore impegno da parte del governo centrale nelle aree disastrate in previsione dell’apertura dei Giochi. L’impatto del più importante incidente nucleare dopo Chernobyl non si è però limitato al Nordest del paese: si è fatto sentire nella vita quotidiana di milioni di giapponesi e sui bilanci dello stato.

Lo spegnimento degli oltre 50 reattori nucleari del paese ha portato conseguenze poco gradite, come blackout programmati e rincari in bolletta fino al 7 percento. Con quasi l’80 percento dei giapponesi contrari alla dipendenza dall’energia nucleare, i governi che si sono avvicendati a Tokyo da marzo 2011 sono stati chiamati a dare precise risposte sul futuro energetico. Prima dello switch off, e del cosiddetto gempatsu zero (nucleare zero), le centrali nucleari fornivano al Paese arcipelago oltre un terzo della sua energia (dati del 2009). I combustibili fossili sono così tornati a farla da padrone: il Giappone dipende oggi più che mai dall’energia che importa da Sudest asiatico, Australia e Medio oriente. E il peso di questa scelta si legge chiaro nei dati riferiti alla bilancia commerciale del Sol Levante il cui passivo si aggira intorno ai 112 miliardi di dollari per il 2013.

Il capitolo energia è cruciale nella strategia economica del primo ministro Shinzo Abe. Proseguendo su questo trend, il piano incentrato sulla svalutazione dello yen per favorire l’export nazionale potrebbe non bastare. L’alternativa più quotata ad oggi sembra essere il solare. Lo confermano i dati pubblicati a gennaio dal Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI) e riferiti a ottobre 2013. Da luglio 2012, sono stati installati impianti fotovoltaici per un totale di quasi 6 milioni di kw: in poco più di un anno la capacità totale degli impianti già esistenti è aumentata di oltre un quarto.

Merito dei prezzi competitivi delle celle fotovoltaiche cinesi, ma anche delle agevolazioni previste dalla legge giapponese, contenute in una legge voluta da Naoto Kan, primo ministro all’epoca dei fatti di Fukushima. A luglio 2012 infatti entra in vigore il Conto Energia o feed-in-tariff che stabilisce la possibilità per privati o aziende che hanno un surplus di rinnovabili (solare, eolico, geotermico e biomasse) di siglare contratti di vendita di energia a una tariffa fissa (42 yen per kw/h) con le utility del settore fino a un massimo di vent’anni. Un provvedimento che non è piaciuto alla lobby dell’energia giapponese, e in particolare a Tepco, l’azienda elettrica più grande del Giappone che gestisce l’impianto di Fukushima. Nonostante l’incidente, Tepco non ha visto mutare la propria posizione di leader nel mercato dell’energia. Non è infatti indagata per responsabilità penali per l’incidente nucleare ed è stata salvata dal collasso dallo stato a giugno 2012.

Anche per quanto riguarda le cause civili, Tepco si è attenuta a precise linee-guida sui risarcimenti. Come ha spiegato al manifesto Andrea Ortolani, docente di diritto all’Università Hitotsubashi di Tokyo, «il governo ha fin qui cercato di incanalare il contenzioso nei metodi alternativi di risoluzione, così da ottenere esiti più accettabili per tutte le parti in causa». E con il ritorno al nucleare preannunciato da Abe, le cose potrebbero rimanere com’erano prima del marzo 2011.