Ci vorrebbe Shakespeare, non i mediocri sceneggiatori di Netflix, per descrivere ciò che accade a Washington. Dopo il nuovo libro di Bob Woodward che descrive una Casa Bianca in preda al caos, è arrivato l’esplosivo editoriale anonimo del New York Times. Editoriale attribuito a un «alto responsabile» dell’amministrazione Trump, non solo senza precedenti nella storia della presidenza, e del giornalismo americano, ma soprattutto devastante nella sua descrizione di un Trump ignorante, disinteressato alla politica estera, incapace di concentrarsi, palesemente inadatto al ruolo che ricopre. Così disperatamente fuori posto che l’autore dell’articolo afferma di restare in carica solo per impedire al presidente di combinare guai, aiutato in questo da un gruppo di altri ministri e funzionari impegnati a controllarlo, perfino facendo sparire documenti chiave dalla sua scrivania, come racconta Woodward.

Quella di Trump assomiglia più a una corte rinascimentale dei Borgia, o a un sultanato sull’orlo della dissoluzione, che non a una moderna presidenza. I collaboratori durano poche settimane o pochi mesi, tutti sparlano di tutti, ogni ministro e consigliere cerca di sopravvivere alle tempeste politiche e giudiziarie quotidiane, fino al momento in cui potrà andarsene a fare il lobbista avendo arricchito il curriculum di un’incarico governativo molto apprezzato dai potenziali datori di lavoro.

Per interpretare ciò che sta succedendo ci viene in aiuto un docente di Harvard, Stephen Greenblatt, che ha pubblicato recentemente un libro intitolato Tyrant. Shakespeare on Politics. Il volume non ha però nulla di accademico: l’autore cita Riccardo III, Enrico VI e Macbeth come esempi di tiranni arrivati al potere a causa della «debolezza del Regno» e mette in luce inquietanti somiglianze fra le loro ambizioni, il loro carattere, i loro metodi e quelli di Trump. Per esempio, scrive che una caratteristica dei regimi tirannici è il fatto che «perfino coloro nel cerchio più ristretto del potere molto spesso non hanno alcuna idea di ciò che sta per accadere». Nulla potrebbe essere più vero: Trump vuole scatenare la guerra nucleare contro la Corea del Nord, la prossima incontrerà Kim jong-un, quella dopo tornerà a un linguaggio minaccioso.

L’attuale presidente non riesce a pronunciare due frasi senza mentire, ma questa caratteristica dei demagoghi era già stata analizzata da Shakespeare nel personaggio di Jack Cade, che conservava i suoi fedeli sostenitori, pieni di risentimento verso le élite, ai quali non importava nulla delle sue esagerazioni, distorsioni, bugie, che erano anzi componenti essenziali del suo successo.
Nelle tragedie dell’autore inglese i tiranni finiscono male, in genere uccisi in battaglie che pensavano di vincere facilmente, nel dramma politico americano di oggi è difficile fare previsioni. Quel che è certo è che tutti aspettano il responso delle elezioni di medio termine per il Congresso, il prossimo 6 novembre. Se i democratici riusciranno a conquistare la maggioranza almeno alla Camera si avvierà una fase di conflitto all’ultimo sangue, con indagini a ripetizione e il possibile inizio di procedure di impeachment (benché sia probabile che esse non possano arrivare a conclusione perché i repubblicani probabilmente conserveranno il controllo del Senato).

Un successo dei democratici a novembre significherebbe però che politicamente la presidenza Trump è finita, il che potrebbe spingere un certo numero di repubblicani che più o meno la pensano come l’anonimo autore dell’editoriale del New York Times ad abbandonare la nave e passare all’opposizione. Ciò che li ha trattenuti fino ad oggi è stata non solo la sete di potere ma anche, e soprattutto, la consapevolezza che il potere di Trump sulla base repubblicana è ancora fortissimo. Trump ha un gradimento minoritario, ma stabile, attorno al 40%, fin dal giorno in cui è entrato in carica: gli scandali non lo hanno minimamente scalfito. Prima di prendere le distanze dal «leader maximo», quindi, deputati e senatori repubblicani ci devono pensare sette volte.

Nei prossimi giorni, le cronache saranno dominate dalla caccia all’autore anonimo, il che paradossalmente potrebbe mettere in ombra le ben più importanti audizioni per la conferma alla Corte suprema di Brett Kavanaugh, un ultraconservatore che consoliderebbe per decenni la maggioranza di destra nel massimo organo giudiziario e politico degli Stati Uniti.