Nel giro di poche ore Donald Trump con una mano ha dato a Israele e con l’altra ha tolto. Il presidente americano sabato, durante un’intervista televisiva ha preso tempo sul trasferimento da Tel Aviv a Gerusalemme dell’ambasciata degli Stati Uniti, per dare, ha spiegato, «una possibilità alla pace» tra israeliani e palestinesi, sulla base dell’iniziativa Usa che si prepara ad annunciare in tempi stretti. Una retromarcia netta, rispetto alla promessa fatta a Israele in campagna elettorale, che ha mandato su tutte le furie diversi ministri del governo Netanyahu. Primi fra tutti la vice ministra degli esteri Tzipi Hotovely e il ministro per Gerusalemme Zeev Elkin. Benyamin Netanyahu invece non ha commentato e non solo per ragioni di opportunità politica. Con ogni probabilità il premier israeliano ha badato al sodo in attesa che l’Amministrazione Usa colga l’occasione propizia per spostare la sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo l’intera città capitale di Israele.

Trump infatti ha avallato, secondo quanto riferiva ieri Ynet, il più importante portale d’informazione israeliano, la costruzione di oltre 3.000 case per coloni nella Cisgiordania occupata: negli insediamenti coloniali maggiori e in quelli più isolati. 300 sorgeranno a Beit El, 206 a Tekoa, 158 a Kfar Etzion, 129 a Avnei Hefetz, 102 a Negohot, 97 a Rehelim e 48 a Maale Mikhmas. Altri 30 alloggi saranno costruiti nella zona H2 di Hebron, sotto il controllo dell’esercito israeliano e dove vivono alcune centinaia di coloni. Nei mesi scorsi il governo Netanyahu e la Casa Bianca avevano raggiunto un accordo che scadenza gli annunci di nuove case ogni 3-4 mesi. Israele e l’Amministrazione Usa, aggiungeva Ynet, hanno anche deciso l’abolizione della distinzione tra blocco di insediamenti e insediamenti isolati. Washington inoltre non considera più le colonie un ostacolo alla pace.

In casa palestinese da un lato hanno apprezzato lo stop al trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme annunciato da Trump e dall’altro hanno dovuto digerire l’ennessimo annuncio israeliano di espansione delle colonie, con la benedizione di Trump. Il presidente palestinese Abu Mazen non ha reagito, convinto probabilmente di dover vedere prima quali carte hanno in mano gli uomini dell’Amministrazione Usa incaricati di promuovere il piano americano per il Medio Oriente. Le consultazioni vanno avanti ma da quel poco che si è appreso Trump punta sulla normalizzazione dei rapporti tra Paesi arabi ed Europei per chiudere la questione palestinese. Un percorso che potrebbero seguire Paesi come Arabia saudita, Emirati e altre petromonarchie sunnite ma che difficilmente troverà l’approvazione della Lega araba.

Intanto oggi al Cairo cominciano i nuovi colloqui tra i dirigenti di Fatah, il partito di Abu Mazen, con quelli del movimento islamico Hamas. L’obiettivo è quello di applicare i contenuti dell’accordo di riconciliazione nazionale del 2011. Israele ieri non ha lasciato partire per la capitale egiziana, i delegati di Hamas che vivono in Cisgiordania.