«Follow your heart» – seguite il vostro cuore è l’invito rivolto più spesso agli americani da Donald Trump nel video con cui finalmente prende posizione sull’aborto: la decisione spetta ai cittadini dei singoli stati «attraverso il voto o la legislazione, o entrambe le cose». Un completo allineamento, insomma, con la decisione della Corte suprema del giugno 2022 che ha abrogato il diritto federale all’aborto cancellando la sentenza Roe v. Wade e in cui i giudici conservatori – tre dei quali nominati da Trump proprio a questo scopo – sostenevano che in questo modo la questione sarebbe definitivamente tornata agli stati, il luogo che le competeva.

Da tempo Trump era sotto pressione per prendere una posizione sull’aborto su cui condurre la campagna elettorale repubblicana, e da mesi l’ex presidente schivava l’argomento che alle urne ha dimostrato ripetutamente di favorire i democratici. Off the record, il suo staff ha detto che Trump aveva definito «un terribile errore» – ma naturalmente solo da un punto di vista elettorale – la legge della Florida che subito dopo la sentenza della Corte suprema ha fissato a 6 settimane (quando la maggior parte delle donne neanche sanno di essere incinte) il limite per abortire. E che è entrata di vigore poco più di una settimana fa.

Con il suo video – in cui sostiene grottescamente che i democratici sono a favore dell’aborto «anche oltre il nono mese», dell’«esecuzione dopo la nascita» – Trump rifiuta di rivendicare una politica federale sull’aborto, che lo avrebbe inevitabilmente posto in rotta di collisione con parte del suo elettorato. Se ad esempio avesse sostenuto un divieto nazionale a 15 settimane, assecondando una maggiore moderazione sul tema, sapeva di scontentare l’elettorato fondamentalista evangelico che lo ha letteralmente proclamato «l’unto del signore».
Così, nel suo annuncio Trump “se ne lava le mani” e rimanda implicitamente alla decisione dei giudici ultraconservatori – che ringrazia uno a uno per aver posto la parola fine su Roe. Significativamente però apre il suo discorso proprio sul tema che sbugiarda quanto i giudici avevano affermato: che con l’abrogazione della sentenza del 1973 il potere giudiziario non sarebbe stato più investito di una questione che spetta ai soli stati. Trump si lancia infatti subito in un endorsement della fecondazione assistita – per «le coppie che vogliono avere un figlio prezioso», «provare la gioia più grande» – , che dei giudici in Alabama hanno messo in pericolo stabilendo che anche gli embrioni della fertilizzazione in vitro sono esseri umani, una delle estreme conseguenze della stessa sentenza di cui Trump si dice tanto orgoglioso.

Ieri l’ex presidente ha anche fatto un ulteriore tentativo di posticipare il primo processo penale contro di lui, che si aprirà a Manhattan il 15 aprile. Con una causa contro il giudice che presiede il caso per i pagamenti all’ex pornostar Stormy Daniels, in cui si chiede di ritardare il processo e sollevare l’ordinanza restrittiva con cui il giudice, Juan Merchan, gli proibisce di attaccare i testimoni del processo e la procura.