Mezzo secolo fa i Nomadi cantavano una canzone di Francesco Guccini che diceva: «per mille secoli almeno noi non ci saremo». Il riferimento era alla guerra atomica, ma oggi al pericolo di un conflitto nucleare se ne è aggiunto un altro: l’inquinamento provocato da pesticidi o plastiche sostanzialmente indistruttibili. Un buon esempio sono i Pfas, plastiche usatissime che si ritrovano dalle nostre padelle in casa (il teflon) al sangue dei pinguini e degli orsi polari. Non solo: ci sono innumerevoli altre sostanze, in particolare quelle usate in agricoltura, che rimangono ostinatamente nel terreno e, soprattutto, nelle falde freatiche per anni o decenni.

Per esempio, cosa esce dal rubinetto delle famiglie francesi? Acqua bevibile e sicura, giurano le autorità, ma le cose sono un po’ più complicate di così: almeno un terzo dell’acqua potabile in Francia probabilmente contiene un po’ troppo di R471811, una molecola che viene dal clorotalonile Syngenta, un pesticida usato per mezzo secolo sui campi di tutta Europa, fino al 2019. Sono passati gli anni ma i residui del pesticida («metaboliti» in linguaggio tecnico) continuano ad essere presenti nelle acque francesi: fiumi, laghi, torrenti, falde freatiche.

Il caso è scoppiato grazie a un rapporto dell’Anses, l’agenzia che sorveglia la sicurezza dell’alimentazione, pubblicato il 6 aprile: fino ad oggi il problema era stato ignorato perché nessuno cercava questa molecola, e non tutti i laboratori erano comunque in grado di identificarla. Il limite fissato dalla legge è 0,1 microgrammi per litro ma l’R471811 è persistente, lo si trova un po’ dappertutto in quantità superiori. Non si sa esattamente quanto sia nociva questa molecola ma di certo bene non fa e, soprattutto, non si sa bene come eliminarla.

Il problema è probabilmente più vasto di quanto si sia detto fino ad oggi: non solo potrebbe riguardare più della metà della popolazione, ma nelle concentrazioni urbane le concentrazioni di R471811 sono da quattro a cinque volte superiori alla soglia fissata dalla legge di 0,1 microgrammi per litro. Parigi, che si rifornisce dai suoi fiumi, la Senna, la Marna e l’Oise, riceve acqua contaminata perché fino ad ora un solo impianto, quello di Méry-sur-Oise è in grado di eliminare la molecola dall’acqua potabile.

Non solo: si tratta di trattamenti costosi. In alcune regioni, le tariffe dell’acqua potrebbero aumentare del 50% per ottenere i risultati sperati. A livello nazionale, la rimozione completa di questi residui di pesticidi potrebbe costare, negli anni, fino a 100 miliardi di euro.
Oltre alle difficoltà tecniche e finanziarie ci sono quelle politiche: il ministro dell’agricoltura Marc Fesneau è andato poche settimane fa al congresso della FNSEA, l’equivalente della nostra Coldiretti, a rassicurare i contadini dicendo che il problema dovrà essere affrontato a livello europeo e che non devono preoccuparsi di nuove restrizioni nell’uso dei pesticidi. Il Syngenta è stato bandito nel 2019 ma l’agricoltura francese è dipendente da moltissimi altri strumenti chimici, in particolare il famoso glifosato che avrebbe dovuto essere bandito dall’Unione Europea ma che ha ottenuto un altro anno di proroga nell’autunno scorso, con il voto favorevole dell’Italia.

Il presidente Emmanuel Macron, forse per recuperare qualche consenso dopo la riforma delle pensioni, ha presentato il 30 marzo un «piano acqua» con le linee guida per la gestione della preziosa risorsa nei prossimi anni. Della contaminazione da residui dei pesticidi, però, non si parla.