Centodieci anni fa la linea dei tramway in città era stata da tempo elettrificata, nei giardini pubblici le orchestrine suonavano Strauss, qualche banda marcette militari. I tavolini dei caffè, i giornali in quattro lingue, gli orologi d’oro dal taschino, i cappelli come vassoi, le gonne lunghe e gli ombrellini parasole. Le navi nel porto e i sacchi di caffè, la frutta lungo il canale e il chiasso dei baracchini, il pesce sui banchi di marmo della pescheria che sembrava una cattedrale. Nei rioni popolari l’acqua dalle fontane, le sartine a perdere gli occhi dietro le finestre e le tinozze piene di biancheria sulla testa delle lavandaie. A scuola si cantava «Serbi Dio l’austriaco regno», ognuno parlava la sua lingua e il triestino come lingua comune.

28 LUGLIO 1914, l’Austria dichiara guerra alla Serbia. Il mondo sta per andare in frantumi. Il terzo battaglione del 97esimo reggimento di fanteria era acquartierato a Trieste, nella Caserma Grande, e quando scoppiò la guerra sembrò quasi una festa. Si andava a vincere per vendicare un’onta, tempo un paio di mesi e si tornava a casa. Il 97esimo è il reggimento che di più i triestini ricordano, che però raccoglieva uomini da tutto il Küstenland, il Litorale (quel territorio che nel corso di tutto il Novecento sarebbe stato più e più volte bombardato, conteso, smembrato) abitato da croati, friulani, italiani, sloveni, tedeschi, in una mescolanza che più che un crogiolo sembrava una partitura a più voci.

QUANDO IL BATTAGLIONE uscì dalla Caserma Grande per marciare verso la Südbahnhof, una gran folla riempiva la stazione e le pensiline di lato ai treni, fazzoletti sventolati, cappelli gettati per aria, «urrà!»: un paio di mesi, bastoniamo la Serbia e si torna a casa. Treni diretti in Serbia prima e poi Galizia, Leopoli, i russi che fanno strage, triestini e tirolesi sullo stesso fronte, buttati all’attacco per poi ripiegare lasciando sul terreno centinaia di migliaia di vittime. A Natale tutti a casa ma invece è l’inverno feroce intorno a Przemysl, le bufere di neve che accecano, «la crudele follia» come ammetteranno anche gli storici austriaci. Ed era solo l’inizio di quattro anni di morte, fame, distruzione. Nel 1918 tornarono i sopravvissuti del 97esimo ma anche i triestini del Quinto reggimento Landwehr di Pola e dei 7imo e 20esimo Feldjägerbatallion e di tutti quegli altri reggimenti che li avevano visti combattere. Tornarono per trovare il loro mondo sparito.

SPARIRONO anche loro e ancora di più quelli caduti chissà dove. E mentre i vincitori erigevano monumenti e scrivevano «Presente» sulle pietre, migliaia e migliaia di nomi e di segni venivano cancellati. Assenti. Ed è proprio «1914-1918: Assente! Odsoten! Assent! Odsutan! Abwesend!» il nome dato a un nuovo progetto che si aggiunge alle iniziative che sono state messe in campo in questi ultimi anni. In Trentino c’è sempre stata attenzione per i conterranei caduti nella prima guerra mondiale, ma soprattutto a Trieste sembrava un argomento tabù probabilmente perché diventata troppo «italianissima» per ricordare il suo passato. Da qualche anno si è cominciato a cercare, con fatica e tra mille ostacoli. Com’è che è tanto difficile? All’archivio di Stato di Trieste si trovano i fogli matricolari di quel centinaio che, disertando, si arruolò nell’esercito italiano ma delle migliaia di quell’altro esercito non si trova nulla. Le vagonate di carte richieste dall’Italia per i cittadini austroungarici diventati italiani sono partite da Vienna e sono… sparite.

CERCARE chi e quando e dove ha combattuto nell’esercito austroungarico, cercare i nomi delle migliaia che sono morti, vuol dire spulciare e incrociare gli elenchi del ministero della Guerra scansionati e messi online dalla Repubblica austriaca, gli elenchi dalla Croce Rossa, quelli delle sepolture, degli ospedali. Pagine e pagine talvolta scritte a mano, talvolta in caratteri gotici e sempre quel dato infernale che fa impazzire chiunque si cimenti in questa avventura: nomi di persone e di luoghi scritti per come li «sentiva» il curato militare o il sottoufficiale addetto che poteva essere ceco, ungherese, croato e ci metteva dunque la sua traslitterazione. Si è cercato e si cerca nei cimiteri sparsi per quel territorio immenso che era il fronte di guerra e qualcuno ha deposto anche un fiore, dopotutto erano i suoi nonni, dimenticati, scomparsi, assenti. Eppure il nome è importante, fa diventare un numero sangue e nervi, un mestiere, una famiglia, una vita.

È STATO SOPRATTUTTO il Club Touristi Triestini, rinato dalle ceneri del vecchio sodalizio austriaco che raccoglieva alpinisti e speleologi (liquidato con poche righe all’arrivo dell’Italia) a rivendicare la necessità di cercare quei nomi e ha trovato l’aiuto di molte altre associazioni, triestine, friulane, slovene. Per ricordare le migliaia di «senza patria», quel melting pot di gente che proprio una malsana idea di Patria aveva macellato. Una ricerca in nome della Pace e dell’unione tra i popoli. Perché è Storia e deve essere memoria, perché guardare in faccia una guerra vuol dire capirne il colpevole, inaccettabile orrore.

L’ELENCO a oggi comprende 40mila nomi di soldati del Litorale. Ma sono intanto 10mila i nomi dei caduti da pubblicare su un blog: ogni giorno i nomi dei caduti di quel giorno di 110 anni fa. Il primo nome è stato pubblicato ieri, 31 luglio, il primo soldato morto del Litorale: Peter Zoff, anni 29, da Cormons. Richiamato il 27 luglio 1914 era arrivato nella Caserma Grande con negli occhi il visetto della sua bambina che si affacciava sorridente sulla porta della falegnameria. Forse era stata l’insopportabile idea di lasciare il suo paese e la sua famiglia o forse era stata una premonizione: non sarebbe finita in pochi mesi e comunque non c’era gloria nell’imbracciare un fucile. Peter Zoff si tirò un colpo di pistola. Il primo soldato morto di un elenco di 10mila nomi è morto suicida.