Di cosa ci parla Scampia, oltre il dolore per queste vittime e per chi ancora combatte in ospedale? Dovremmo non poterne più delle lacrime di un giorno, del dolore spot, di questa emozione che si alza per poi repentinamente cadere nello spazio di un attimo – come accade per i morti sul lavoro o per i bambini di Gaza o quelli del Mediterraneo… – nel flusso continuo di sollecitazioni cui siamo sottoposti dal sistema rete-controllo-induzione a riconoscere sé stessi solo nella dimensione del consumo.

Tutto consumato per poi tornare alla normalità di una città nella quale per i «bordi», per le periferie, per i margini non c’è interesse, attenzione, politica. Margini che crescono anche nel cuore della moderna metropoli.Sì perché assistiamo a un ritorno in grande del valore del suolo, della rendita su di esso fondata che classifica gerarchie, priorità di interventi.

E così se un territorio non incrocia la voracità della rendita rimane abbandonato a se stesso insieme a chi lo vive, a sua volta destinatario di una attenzione marginale o delegata, e meno male che ci sono, al volontariato e alla Chiesa. E in tanti casi purtroppo alla camorra. Sulle condizioni materiali di vita in città, vale per gli anziani in tutta l’area metropolitana con il caldo; vale per gli abitanti delle periferie; vale per quelli del centro storico in via di espulsione in favore della rendita di un turismo sregolato, va aperto un conflitto dal carattere generale. Napoli ha nella sua storia i residui di altre epidemie di occupazione di suolo, speriamo che sia rimasta traccia anche degli anticorpi: Lauro e le mani sulla città, il dopo terremoto in Campania, il Regno del Possibile…

La redazione consiglia:
Scampia, dopo il crollo manca una soluzione per gli sfollaticLa rendita fondiaria è di nuovo diventata, nelle sue forme modernissime, a Napoli, il vero blocco di potere intorno a cui ruota l’integrazione passiva della politica. Voglio dirla ancora più chiara: di tutta la politica, senza distinzioni apprezzabili tra centrodestra e centrosinistra. Soggetti economici della rendita, politica e, sempre di più, spezzoni di mondo universitario, il vero nuovo soggetto in campo, che ha assorbito talmente bene la logica d’impresa e la commistione tra interessi privati e pubblici da offrire a entrambi copertura scientifica in cambio di quote sempre più ampie di gestione di risorse e di potere reale.

Perché invece di sprecare centinaia di milioni di euro per nuove porte di accesso a Napoli, il progetto della Regione con partecipazione del Comune con nuova colata di cemento zona Stazione centrale, duplicando peraltro quel che c’è già al Centro direzionale, non si investono queste risorse per un grande e vero programma di riqualificazione urbana delle periferie?

Perché si fa una legge urbanistica regionale, prontamente sostenuta e utilizzata dal comune di Napoli, che alimenta il nuovo consumo di suolo? Perché il Consiglio regionale, fino a ora, se ne è strafregato di una proposta di iniziativa popolare come «Rigenera» nonostante 13mila firme raccolte che proprio su questi temi, giustizia sociale e giustizia climatica, sarebbe una vera svolta? Si potrebbero fare altri cento esempi ma insisto: serve il rilancio di una conflittualità sociale di tipo nuovo, che unifichi dai territori istanze e vertenze, si dia sedi unitarie di organizzazione, veri e propri Consigli territoriali. Schlein, Avs, 5 Stelle, la Via Maestra, c’è una coerenza tra quel che si dice nazionalmente e quel che accade invece territorialmente?

Parliamo di un Mezzogiorno che stiamo chiamando a mobilitarsi, unitariamente con il Paese, contro l’autonomia differenziata. Siamo sicuri che senza queste nuove coerenze, questa mobilitazione potrà darsi in modo adeguato? Per cominciare ci vorrebbe un grande grido, tanto forte da farsi sentire e segnare un punto di svolta. Perché no uno Sciopero generale per giustizia sociale e giustizia ambientale, qui a Napoli, Campania, Italia?