Un aneddoto riassume perfettamente l’attitudine trentina. Quando gli imprenditori sono informati che scatteranno le gare europee, immaginano di risolvere con prezzi ribassati più che al massimo e di poter contare sulla «compensazione» della Provincia. È il monopolio «autonomista» che non accetta le regole del libero mercato…

Adesso anche Trento deve cambiare registro. L’allarme era suonato da tempo, come riassume Filiberto Zovico (editore di Veneziepost.it, fra i promotori del recente Festival della Green Economy): «Alle Comunali 2015 il centrosinistra aveva rischiato di dover andare al ballottaggio. Un altro segnale forte dello spappolamento c’era stato due anni prima, quando alle Primarie per la Provincia il candidato designato dal Pd Alessandro Olivi era stato sconfitto di misura da Ugo Rossi. Infine, la marginalizzazione progressiva di Dellai che esce di scena senza mantenere il controllo del “suo” Trentino».

Insomma, un terremoto politico tutt’altro che improvviso?

Bastava seguire il dibattito sull’autonomia trentina per capire che era un territorio alla ricerca di se stesso. Paradossalmente, si vive più che bene con massima efficienza, ma la crisi ha ucciso il sistema delle cooperative e sono affiorati scandali fastidiosi come le consulenze Deloitte per Trento Rise o il superattico dell’ad di Itas. Si era fatta strada la voglia di cambiamento, mentre esplodeva una conflittualità altissima all’interno dei partiti tradizionali. Il mito dell’autonomia virtuosa negli ultimi anni ha generato una raffica di problemi. E se tutto si riduce a una questione di soldi, diventano insuperabili nel contesto attuale per il vecchio metodo. Di fronte al moltiplicarsi dei fallimenti delle aziende, la Provincia autonoma non può più salvare nessuno…

Ed è arrivata la Lega di Salvini come antidoto all’inerzia del centrosinistra?

Francesco Valduga, primo cittadino di Rovereto, aveva lanciato per tempo la proposta di «partito territoriale dei sindaci». Un’idea che aggiornava l’intuizione originale della Margherita trentina anni ’90. E soprattutto entrava nel merito dello scenario attuale. Invece, è passata la Lega nel voto politico che può trascinare il centrodestra al successo nelle Regionali. Anche se il punto vero, dirimente e sostanziale per il Trentino combacia con l’interrogativo: siamo stanchi del vecchio sistema che non funziona più come ai bei tempi, ma tanto da rischiare di mettere nelle mani di Salvini anche la nostra autonomia locale? Sarà un gioco di sottile psicologia nei prossimi mesi.

Ma qual è, davvero, il punto di crisi del Trentino?

Dal mio punto di vista, si staglia nel nuovo quartiere Le Albere progettato da Renzo Piano con il Museo delle scienze inaugurato nel 2013. Un progetto in sintonia con lo spirito di Trento che vuol cambiare. Ma incrocia la crisi che non risparmia nemmeno il mondo all’ombra delle Dolomiti. Risultato: il Muse va a gonfie vele, mentre intorno c’è un vuoto urbano da paura con valori immobiliari da 5-6 mila euro al metro quadro oggi insostenibili. Più in generale, va ricordato come grazie alla visione anticipatrice di Kessler in Trentino oggi hanno sede importanti aziende informatiche. Ma anche che il «sistema Trento» si rivela sempre più chiuso, complicato, invecchiato. Ed è chiamato a scegliere un ruolo diverso in un mondo sempre più fatto di reti. La Valsugana si rivela una specie di appendice del Veneto che è ripartito, mentre il Pil turistico trentino è oggettivamente minoritario.