Dopo quasi tre mesi di discussioni, tra Talebani e “fronte repubblicano” c’è un accordo. Preliminare ma cruciale per poter mettere sul piatto le questioni politiche più controverse.

Riguarda le procedure da seguire nel negoziato che si è aperto il 12 settembre scorso a Doha ma che fino a ieri è stato limitato al “come”, più che al “cosa” negoziare.

DA DOMANI si passerà alla sostanza, all’agenda negoziale, ha annunciato con soddisfazione Nader Nadery, portavoce della delegazione che rappresenta il governo di Kabul, parte dell’opposizione politica e, ancora più parzialmente, la società afghana.

Il capo negoziatore dei Talebani, Abdul Hakim Ishaqzai, ha dichiarato che farà del suo meglio «per rappresentare le aspirazioni della nostra nazione islamica», per ottenere «indipendenza e sicurezza».

DALLE NAZIONI UNITE alla Nato – per bocca del rappresentante civile Stefano Pontecorvo, già ambasciatore italiano in Pakistan –, dall’ex presidente afghano Hamid Karzai all’attuale capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale Abdullah Abdullah, tutti si dicono soddisfatti.

Così anche l’inviato speciale degli Usa, Zalmay Khalilzad, l’artefice dell’accordo del febbraio 2020 tra Talebani e Stati uniti da cui deriva anche l’avvio del cosiddetto negoziato intra-afghano. Che sarà lungo ed estenuante.

CI SONO VOLUTI quasi tre mesi per concordare un testo di tre pagine sulle procedure da seguire in caso di controversie tra Talebani e Kabul. E ne serviranno molti altri, se non anni, per trovare un accordo politico che metta davvero fino alla guerra. Sempre che ci si arrivi. A dispetto delle parole di circostanza, nessuno si aspetta risultati concreti a breve termine.

Pesa il periodo di transizione, l’interregno tra l’amministrazione Trump e quella di Joe Biden, che si insedierà il 20 gennaio 2021 e che potrebbe rallentare il ritiro dei soldati americani o vincolarlo a maggiori concessioni da parte talebana: entro la metà di gennaio i soldati Usa dovrebbero scendere a 2.500 unità, mentre l’accordo di Doha prevede il ritiro completo entro il primo maggio 2021. Ma pesano anche le differenze tra i due fronti. A partire dal cessate il fuoco.

È la prima richiesta del governo di Kabul, quella su cui più insiste il presidente Ashraf Ghani da quando ha aperto i canali diplomatici con i Talebani, riuscendo a ottenere soltanto tregue parziali, di pochi giorni. I Talebani ritengono che il cessate il fuoco debba essere un esito del negoziato, non la premessa. Ma crescono le pressioni esterne affinché riducano la violenza.

L’ULTIMA, tra le più rilevanti, è stata riassunta nel comunicato politico finale della conferenza ministeriale sull’Afghanistan che si è tenuta il 23 e 24 novembre a Ginevra.

I Paesi donatori promettono a Kabul tra i 12 e i 13 miliardi di dollari in aiuti (la cifra esatta non c’è) nei prossimi quattro anni, ma diversi governi hanno posto condizioni più vincolanti. E si aspettano progressi nel negoziato. Lo sanno anche i Talebani.