A Lampedusa aumentano i trasferimenti, ma resta il caos. E i conti non tornano. La Croce rossa italiana (Cri) fa sapere che tra ieri e oggi sono state portate in Sicilia oltre 4mila persone, altrettante si troverebbero ancora nell’hotspot. Un numero raggiunto in varie occasioni: stavolta, però, chi conosce bene la struttura di Contrada Imbriacola rileva una situazione completamente diversa. Per il sovraffollamento interno, molto più alto del solito, e perché le persone escono, tanto che vari gruppetti sono accampati all’esterno.

«LE AUTORITÀ danno facilmente i numeri in uscita. Per quelli in entrata, invece, restano in silenzio o tentennano», dice Giusi Nicolini, ex sindaca di centro-sinistra dell’isola. «Se nell’hotspot fossero rimaste solo 4mila persone l’emergenza sarebbe quasi risolta, ma da quello che vediamo sull’isola non è così», continua. Il picco indicato nei giorni scorsi in 7mila migranti, un migliaio in più dei residenti, alla fine potrebbe rivelarsi sottostimato. «L’hotspot è strasbordante. Difficile garantire i più elementari diritti e qualunque forma di protezione. Numeri precisi non ce ne sono, neanche sui minori. Che comunque sono tanti: ragazzi non accompagnati e bambini con i genitori», racconta Giovanna Di Benedetto di Save The Children.

Di fronte alla struttura gli operatori della Cri non rilasciano interviste senza autorizzazioni. «L’acqua non manca e stiamo distribuendo cibo a pieno regime. Abbiamo fino a 20mila pasti stipati in una caserma dell’aeronautica per situazioni emergenziali come questa», afferma il vicesegretario generale Ignazio Schintu. Le provviste sono offerte dentro l’hotspot, dove tra mercoledì e giovedì ci sono state tensioni, e sui moli, prima dell’imbarco sulle navi per il trasferimento (ieri erano tre: i traghetti Cossyra e Lampedusa della Siremar e il pattugliatore Orione della marina).

TANTI MIGRANTI, però, lamentano di non avere accesso al cibo. «Non mangio da tre giorni, sono stanca, forse avrei fatto meglio a rimanere nel mio paese. Ho paura a dormire qui dentro. Chiedo solo: datemi la mia libertà!», dice una giovane donna proveniente dal Gambia. È seduta accanto alla sua unica borsa, nella speranza che la chiamino per andar via. «Siamo qui da lunedì, non abbiamo mangiato. Mio figlio ha tre anni e due mesi. Non mangia da quando siamo partiti da Sfax, non ha bevuto acqua, ha la febbre alta e non ci sono dottori. Dentro il centro la gente litiga di continuo per il cibo, è pericoloso», racconta Samah, tunisina, in lacrime mentre cerca di calmare il figlio.

Nella strada che porta alla struttura di Contrada Imbriacola si fatica a camminare, c’è gente ovunque. Alcuni ragazzi puliscono e raccolgono la spazzatura. C’è chi dorme a terra, chi torna dal paese con acqua o cibo. Tra i teli termici, a terra, le bottiglie di plastica sono usate per fare pipì. Una camionetta dei carabinieri vigila l’ingresso dell’hotspot: «Teoricamente non potrebbero uscire, ma come facciamo a fermarli? Io sono esausto, non so più che fare, lavoro da tempo a Lampedusa ma una situazione così non la vedevo da anni», dice un carabiniere.

A ESSERE STREMATE sono soprattutto le persone che hanno attraversato il Mediterraneo: «Vengo dalla Guinea e sono partito da Sfax. Siamo stati tre giorni in mare perché c’eravamo persi. Ero sicuro di morire. Ma è dura anche qui. Fortunatamente siamo andati in chiesa e ci hanno dato da mangiare. Qui [nell’hotspot, nda] ci danno solo un pezzo di pane e una bottiglietta d’acqua da mezzo litro per tutto il giorno. Voglio raggiungere mia sorella in Germania, ma non so quando riuscirò ad andare via dall’isola», racconta Mohammed, a Lampedusa da quattro giorni.

Qualcuno si è fatto male durante le risse per il cibo dentro il centro. Rumuald, proveniente dal Camerun, si è rotto la caviglia: «Sono sopravvissuto al viaggio attraverso il Sahara. Dalla Tunisia mi hanno cacciato e lasciato nel deserto al confine con la Libia. Siamo stati lì sette giorni. Poi sono tornato in Tunisia. Lì hanno provato ad ammazzarmi due volte. Sono vivo e sono riuscito ad arrivare in Italia, ma ieri ho pensato di morire durante la rissa per il cibo».

NELLA PIAZZA di Lampedusa la parrocchia continua a fornire alimenti e beni di prima necessità. «Siamo lampedusane, non possiamo far finta di niente di fronte a questa umanità che necessita aiuto», raccontano due ragazze arrivate con le buste piene. Il problema è che nonostante la solidarietà dei lampedusani i migranti sono stanchi, disidratati e affamati.

Ieri nelle strade dell’isola sono apparsi alcuni striscioni: «Ue e Roma assenti», «Canali di ingresso regolari subito». In serata si è svolta una fiaccolata «per tutti i morti nel Mediterraneo». Intanto il sindaco Filippo Mannino ha invocato una missione di ricerca e soccorso europea che permetta di bypassare l’isola. «È in corso un dramma umanitario. Lampedusa accoglie e salva da sempre, ma ora siamo a un punto di non ritorno. Serve un’operazione di soccorso in tutto il Mediterraneo simile a Mare Nostrum», ha dichiarato a Radio1.

I PRIMI A OPPORSI all’unica soluzione concreta che aiuterebbe davvero l’isola, però, sono gli esponenti del governo nazionale, da Meloni a Salvini. Che infatti si guardano bene da avanzare una simile richiesta a Bruxelles, contribuendo de facto a intasare Lampedusa.

«La destra vuole trasformare un’emergenza umanitaria in un problema di sicurezza. Come nel 2011: anche allora governava lo stesso schieramento politico e il ministro dell’Interno era un leghista», attacca Nicolini. Che lancia un monito: «Se continueranno a usare Lampedusa come teatro dell’emergenza che hanno creato ci saranno dei rischi. Andiamo incontro al crollo del sistema-isola. Alla possibilità di uno scontro sociale».