Un Natale di attentati ha insanguinato, come accade sempre più spesso, il Sahel in questi giorni. Sono state almeno 42 le vittime – 35 civili, di cui 32 donne, e sette militari – e oltre 30 feriti nel più grave attentato degli ultimi cinque anni in Burkina Faso, compiuto il 24 dicembre contro una base militare.

«Ringrazio i nostri militari per aver reagito a un barbaro attacco – ha detto il presidente burkinabè, Roch Kaboré – Martedì mattina un gran numero di miliziani jihadisti ha contemporaneamente attaccato la base militare e la popolazione civile di Arbinda, i terroristi sono stati respinti e nella fuga hanno vilmente ucciso molti civili».

La risposta delle forze armate, con il supporto aereo, ha permesso di «neutralizzare 80 terroristi», secondo una dichiarazione dello stato maggiore dell’esercito.

Kaboré, spesso criticato per un approccio troppo morbido contro le bande jihadiste che imperversano nel paese, ha subito decretato il lutto nazionale per due giorni e dichiarato di «voler aumentare lo sforzo militare contro l’ascesa dei gruppi terroristi» legati sia allo Stato Islamico che ad al Qaeda.

A Natale le milizie jihadiste hanno ucciso in un’imboscata altri 12 militari burkinabé nella città di Hallalè. Entrambi gli attacchi sono avvenuti nella provincia di Soum, zona confinante con Mali e Niger, soggetta negli ultimi mesi agli spostamenti e i relativi attacchi delle formazioni jihadiste del Sahel.

Stesse modalità per l’attacco del 26 dicembre contro un altro convoglio di militari, preso d’assalto da un gruppo di terroristi armati, che ha causato «la morte di altri 14 militari in Niger», come riportano fonti governative di Niamey. Attacco che segue a quello dell’11 dicembre con 71 militari nigerini uccisi.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha «condannato fermamente gli attacchi di questi giorni dei gruppi legati al terrorismo jihadista, rinnovando il sostegno delle Nazioni unite e della missione di pace Minusma» che, nonostante i proclami ufficiali, sta ottenendo scarsi risultati.

I leader di Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad e Mauritania – paesi che hanno in campo la missione G5 Sahel – hanno tenuto un summit a Niamey il 15 dicembre per promuovere «una maggiore cooperazione regionale» e richiedere un più concreto «supporto internazionale, sia economico che militare, nella lotta contro il terrorismo».

La Francia, impegnata con 5mila uomini in tutta l’area nella missione anti-terrorismo Barkhane, ha rinnovato il proprio impegno nella lotta al fenomeno jihadista che «rappresenta una concreta minaccia per tutta l’area» come ribadito dal presidente francese, Emmanuel Macron, nella sua recente visita in Niger, lo scorso 22 dicembre.

Macron ha invitato i cinque Stati del Sahel a un vertice il prossimo 13 gennaio per «ridefinire più chiaramente gli obiettivi militari, politici e di sviluppo» della lotta comune contro i gruppi jihadisti. Summit voluto dal presidente per definire meglio la posizione francese nell’area, recentemente criticata per «l’eccessiva inerzia e la mancanza di risultati» dalle popolazioni locali in Niger, Mali e Burkina Faso. (s.m)