Di tortura si può restare feriti a vita, nell’anima o nel corpo. Di tortura si può morire per le lesioni subite o per il trauma psico-fisico sofferto. Della tortura sopportata si può provare addirittura un sentimento di vergogna. La tortura produce nella vittima sensi di colpa difficili da spiegare. La tortura determina sfiducia nell’umanità. La tortura è l’annientamento della dignità umana in quanto degrada la persona a cosa, la fa divenire mezzo per raggiungere un altro fine, pseudo-giudiziario o punitivo.

La tortura è una manifestazione primitiva di potere che rende plastica l’asimmetria che c’è tra la persona custodita e il custode. Nessun Paese ne è immune, nessuna democrazia può dirsi certa che non sia praticata o tollerata al proprio interno. Nei regimi dispotici la tortura è sistematica e fa parte della fisica del potere.

La tortura non ha alcun rapporto con la verità. Quella estorta non è mai la verità. È una via di fuga per interrompere il ciclo tragico della violenza. Obama ha annunciato la chiusura di Guantanamo, seppur difficile da realizzarsi per la forte opposizione repubblicana, non solo perché detenere senza processo una persona (anche il peggior criminale) significa violare macroscopicamente le regole dello stato di diritto ma anche perché non è servito a nulla, dal punto di vista preventivo, organizzare la tortura su scala universale. Dunque sotto tortura non si dice la verità.

Nello spot della Wind, da noi e da Amnesty International contestato, e pare fortunatamente prontamente ritirato, Giorgio Panariello rilevava sotto tortura le offerte del gestore telefonico. Quando abbiamo chiesto alla Wind di ritirare lo spot lo abbiamo fatto non perché siamo ‘bacchettoni’ o privi di ironia, o perché pensiamo che non si possa scherzare con i santi ma solo con i fanti, ma solo perché quel modo facile, leggero, scontato di trattare la tortura ne favoriva uno sdoganamento di massa, una facile (ma falsa) connessione logica tra tortura e verità. In sostanza era la banalizzazione di un crimine contro l’umanità.

Nei giorni scorsi nella trasmissione «Chi l’ha visto» il testimone della morte di Riccardo Magherini ha raccontato quello che ha visto, ovvero calci all’addome della povera vittima. E di tortura è morto il povero Giulio Regeni in Egitto.

Piero Calamandrei nella rivista «Il Ponte» nel 1949 manifestava il suo stupore perché bisognasse ribadire che la tortura in Europa andasse vietata. Eppure la tortura dalla fine della guerra fino a oggi ha continuato a essere praticata dentro e fuori l’Europa, nelle democrazie e fuori da esse, come pratica punitiva illegale o come metodo inquisitorio. In Italia, e ciò ha dell’incredibile, non vi è una legge che la punisca. Il Senato ha riposto la proposta di legge nell’armadio, dopo avere fatto di tutto per annacquarne i contenuti.

Eppure Matteo Renzi, il 7 aprile 2015, all’indomani della condanna europea per quanto accaduto alla Diaz nel caso Cestaro, aveva promesso che avremmo avuto una nuova legge sulla tortura. Per ora la promessa è rimasta un tweet.