Torre Maura, i Rom trasferiti. I fascisti cavalcano la rabbia
Periferie L’amministrazione capitolina cede alle proteste e sposta le «famiglie fragili» in altri centri. La procura apre un’inchiesta sulle violenze scoppiate martedì sera nel quartiere romano
Periferie L’amministrazione capitolina cede alle proteste e sposta le «famiglie fragili» in altri centri. La procura apre un’inchiesta sulle violenze scoppiate martedì sera nel quartiere romano
Il bambino di cinque o sei anni trotterella dietro alla madre su via dei Codirossoni, a Torre Maura, finché non passa davanti al cancello del centro di accoglienza «Savi» dove da martedì sera sono asserragliate 77 persone di etnia Rom Khorakhané, compresi 33 bambini e alcune donne incinta. In un attimo, appena vede qualcuno uscire dalla struttura che fino a qualche mese fa accoglieva profughi africani, il bambino si ferma, fa la faccia cattiva, stende il braccio, punta l’indice e il dito medio uniti, il pollice dritto all’insù e… «pum». Qualcuno deve avergli insegnato il “gioco” dello sparare allo «zingaro».
Tute da ginnastica dai colori accecanti, ragazzini obesi, jeans strappati che mostrano calze a rete, nuche e tempie rasate, eloqui strascicati, croci celtiche e cristi sanguinanti tatuati in bella vista. «Questi da qui se ne devono anna’, sennò damo foco a tutto», ripetono davanti alla selva di microfoni e telecamere giunte sul posto dopo la rivolta di martedì sera. Le donne hanno piazzato alcune sedie davanti all’edificio – che cade a pezzi come tutti gli altri – per tenere d’occhio i nuovi “nemici”.
LA RABBIA È a fior di pelle ma non è uno stato d’animo passeggero. Ed è comodo credere che sale solo perché fomentata dai fascisti di Casa Pound e Forza Nuova, che pure sono accorsi immediatamente per inzuppare il pane in questo amaro brodo. La rabbia cresce insieme all’erba dei campi abbandonati tra questi stradoni di periferia dove la bella Roma è solo una cartolina esotica, si nutre del buio delle strade senza lampioni, della paura di attraversarle, degli autobus che non passano e della metropolitana appena aperta e già malfunzionante, del lavoro che non c’è, delle case popolari diroccate che nessuno ripara, dello spaccio che è l’unico sbocco, della scuola che è solo un vago e brutto ricordo, dell’eroina che lenisce i dolori. La rabbia è perciò l’unico orizzonte possibile.
E non si placa neppure quando i primi nove Rom vengono caricati sull’autobus del Comune per essere trasferiti di nuovo in qualche altro centro di accoglienza per persone fragili tenuto segreto. Calci al pullman, sputi, saluti romani e l’Inno d’Italia cantato a mo’ di coro da stadio. Esplode anche una bomba carta. A prendere l’iniziativa è solo una manciata di persone, una ventina di uomini, ma tutti gli altri assistono.
UNA DECISIONE, quella di spostare di nuovo queste «famiglie fragili», arrivata ieri mattina dopo un lungo vertice in Campidoglio durato fino a tarda notte. Mentre la procura apriva un’inchiesta sull’accaduto. Un provvedimento che cede ai ricatti dei rivoltosi anche se accompagnato da parole di condanna: «Non possiamo cedere all’odio razziale di chi continua a fomentare questo clima e continua a parlare alla pancia delle persone. E mi riferisco particolarmente a CasaPound e Forza Nuova – ha detto la sindaca Virginia Raggi – Sono intervenuta per evitare che la situazione degenerasse, per tutelare i tanti cittadini onesti di quel quartiere e i 33 bambini Rom che rischiavano la vita. C’era un clima molto pesante, di odio. La procura ha aperto un fascicolo proprio per odio razziale. Li stiamo ricollocando in altri centri di tutto il territorio cittadino perché il dovere dell’amministrazione è quello di tutelare la vita e l’incolumità delle persone».
A TORRE MAURA però si difendono come possono e sanno: «Questa è la discarica di tutto, e i razzisti siamo noi?», urla ai cronisti una donna. Eppure, anche se forse non ne sono consapevoli, xenofobi lo sono. Di sicuro, non adatti ad accogliere famiglie «fragili» da reinserire nella società. Malgrado ciò, in questo quadrante est di periferia romana, nel VI Municipio, – il più povero di Roma, con un reddito medio imponibile di 17 mila euro circa per ciascun residente, su una media di quasi 26 mila euro per ogni romano, secondo una recente indagine del Comune – sono stati dislocati 15 centri di accoglienza per richiedenti asilo sui 49 di tutta Roma.
In questo contesto, martedì sera l’estrema destra romana ha avuto gioco facile a far divampare le fiamme. La procura sta visionando i filmati girati dalla Digos quando alcuni presenti tra la folla hanno distrutto i pasti riservati ai Rom, hanno incendiato un paio di cassonetti, un camper parcheggiato nelle vicinanze appartenente ad un’altra famiglia Rom e l’auto di servizio della cooperativa che lavora all’interno della struttura d’accoglienza. «Se c’è un’indagine per istigazione all’odio razziale è una medaglia. Il razzismo qui è verso gli italiani», blatera Mauro Antonini, responsabile del Lazio per Casapound, arrivato sul posto nel pomeriggio.
IL PD INVECE attacca la sindaca: «Ancora una volta l’incapacità di governo del M5S ha messo a dura prova la tenuta sociale della nostra città. L’ennesima scelta calata dall’alto senza essere accompagnata e condivisa con il contesto sociale ha generato una giornata terribile per Roma», scrivono i dem romani in una nota dimenticando che una situazione simile si verificò anche nel 2014 nella vicina Tor Sapienza. Allora però, se non altro, il sindaco Ignazio Marino ebbe il coraggio di andare a prendersi gli insulti dei cittadini in rivolta, anche allora fomentati dai fascisti.
«I romani non sono intolleranti, né razzisti nei confronti dei Rom che, come ha opportunamente ricordato il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla, vivono numerosi in case private o alloggi di edilizia residenziale pubblica della zona – fa notare il deputato di +Europa Riccardo Magi – Quello che i romani non vogliono sono i campi e i “centri di raccolta Rom”: ghetti illegali e costosissimi che il Piano avviato dalla sindaca Raggi nel 2017 avrebbe dovuto chiudere e che invece vengono riproposti».
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