Di adolescenti maltrattati che tentano di ribellarsi agli abusi subiti è piena la letteratura angloamericana: da Pocahontas a Lolita, da Huckleberry Finn a Holden Caulfield fino alla Beloved di Toni Morrison, ragazzine e ragazzini precoci dal carattere volitivo contraddicono il mito romantico dell’innocenza del fanciullo. Negli anni Cinquanta l’emergere nel mondo anglofono di una «youth culture» ha avuto un ruolo determinante anche in ambito editoriale. Per la prima volta, infatti, gli adolescenti vengono percepiti come potenziali lettori e quindi destinatari di una produzione letteraria mirata.

Oggi la narrativa «Young Adult» – rivolta a un pubblico dai dodici ai diciotto anni ma sempre più trasversale – costituisce una porzione importante del mercato editoriale. I temi sono generalmente gli stessi con cui ci si confronta durante l’adolescenza: il rapporto con la famiglia e la scuola, le prime relazioni sentimentali, la ricerca di esperienze proibite come alcol e droga, e soprattutto la scoperta e l’esplorazione del mondo, spesso trasfigurato in universi fantastici come nelle saghe di Harry Potter o Hunger Games. Più di recente, il fenomeno del «BookTok» ha definitivamente sancito la posizione centrale dei «giovani adulti» nell’editoria contemporanea anche in veste di promotori culturali e di influencer.

Nel 2011, all’alba di questo fenomeno, lo scrittore e sceneggiatore canadese Tony Burgess, classe 1959, ha pensato bene di decostruire dalle fondamenta la narrativa young adult, troppo spesso banalizzata attraverso la messa in scena di storie strappalacrime forzatamente educative, o peggio, asservita a operazioni commerciali finalizzate a sfruttare il filone del momento. Idaho Winter, il giovane protagonista dell’omonimo romanzo in uscita per minimum fax (traduzione di Sara Tuveri, pp. 135, € 16,00), è un ragazzino maltrattato non solo dai genitori ma da un’intera cittadina.

L’incipit del romanzo ricorda da vicino l’attacco di Oliver Twist, con la descrizione della misera stanzetta in cui i genitori tengono segregato il piccolo Idaho, «una scatoletta angusta e sudicia con pareti scolorite che hanno ceduto un po’ verso l’interno, restringendo lo spazio già misero».  È da subito chiaro che lo stato di degrado in cui versa Idaho è talmente estremo da apparire grottesco, se non addirittura parodistico: «La puzza di pesce proveniente dal letto riempie la stanza e quasi soffoca Idaho nel sonno. Povero, piccolo Idaho. Si tira su a sedere, poi si piega e vomita sulla schiena di un grasso topo addormentato. Il topo non si sveglia».

A colazione il padre di Idaho gli aizza contro il cane, i compagni di classe lo picchiano selvaggiamente, la vigilessa che aiuta i bambini ad attraversare la strada cerca di farlo investire da un’auto – tutti sono «impazienti di fargli male, come se dal dolore di questo ragazzo dipendesse il loro benessere».

Anche il narratore esce allo scoperto per commentare la penosa condizione del protagonista confessando: «Mi preoccupo per lui, ma non posso dire di essere immune all’avversione dilagante». Solo una bambina, Madison, prova tenerezza verso Idaho, ma per gli abitanti della città il rapporto di amicizia tra i due è un’aberrazione da evitare a tutti i costi, finanche con l’uccisione del ragazzino. Per quanto tutto ciò appaia avvilente e inverosimile, il narratore specifica con freddezza che «non si può fare niente. Tu non puoi fare nulla. Sei il lettore. Non puoi cambiare i fatti».

A un certo punto, però, la narrazione subisce una svolta repentina. Idaho si ribella alla storyline prevista per lui dalla voce narrante, che si ritrova catapultato nel romanzo senza più averne il controllo. La realtà inventata dallo scrittore viene progressivamente sostituita da un mondo scaturito dall’immaginazione del bambino, dove il sempre più terrorizzato narratore, ormai vero e proprio protagonista, si ritrova a capo di un gruppo di personaggi grotteschi che cambiano identità, sesso e aspetto in stile William S. Burroughs o David Lynch, intenti a combattere contro mamme-pipistrello (creature mostruose con il volto della madre di Idaho), dinosauri giganteschi e componenti della band musicale dei Green Day.

I capitoli, inizialmente intitolati con un numero progressivo, cominciano a proporre titoli come «Non ne sono sicuro» o «Ok», mentre il lettore si ritrova a sua volta in balia di una trama che procede a smantellare sistematicamente ogni barlume residuo di coerenza e linearità. «Forse sono andato un po’ oltre», sembra giustificarsi il narratore, «ma è quello che vuole la gente adesso. In letteratura ci si aspetta che i bambini vengano maltrattati. Tutti vogliono vedere la cattiveria verso i bambini. Così poi… be’, così poi ci sentiamo tutti sollevati quando trionfano contro il male».

Nel fare il verso alla deriva sentimentalistica e raccapricciante di una certa narrativa young adult, denunciandola come espressione del senso di colpa degli adulti per le loro manchevolezze verso la dimensione infantile, il romanzo di Burgess finisce al tempo stesso per ribadire anche la perdita di centralità della metafiction quale mezzo espressivo di conoscenza epistemologica. In conclusione, il mondo di Idaho Winter è più simile a quello di un videogioco dalla trama fluida, in cui paradossalmente lo scrittore rinuncia alla funzione autoriale affidandosi quasi esclusivamente a un impeto affabulatorio senza freni e delegando in un certo senso il controllo al fruitore; peccato che, così, il romanzo perda gran parte di quel potenziale sovversivo che rende invece ancora attuali libri come Il giovane Holden o Le avventure di Huckleberry Finn.