«È morto?» è il titolo dell’ultima pièce in palinsesto al Teatro Nazionale di Tirana. Lo spettacolo, tratto da un’opera di Mark Twain, ha calato l’ultimo sipario il 1 luglio 2018. Ma dopo quasi due anni l’ interrogativo suona come una profetica anticipazione dei dilemmi che ancora si addensano sul destino del «Teatrit Kombetar».
Le mura dello stabile, testimoni oculari di rivoluzioni e vita quotidiana, di balzi in avanti e di drammi collettivi, nulla hanno potuto contro i colpi delle ruspe governative.
All’alba del 17 maggio uno schieramento di agenti, tra cui i reparti Renea, unità antiterrorismo, ha fatto irruzione nei locali del teatro presidiati da poche decine di attivisti. «Armati, si sono fatti strada con lo spray urticante e sprovvisti del numero identificativo. Un blitz militare a tutti gli effetti, in piena notte e durante una crisi sanitaria mondiale. La demolizione è avvenuta senza un’ispezione prima, le ruspe sono entrate in azione con almeno 12 civili ancora all’interno: insieme all’edificio sono andati distrutti anche l’archivio, i costumi originali, gli oggetti di scena, i manoscritti, pezzi originali di scenografia, rullini, proiettori e cimeli della seconda guerra mondiale» racconta Adele Budina, produttrice cinematografica italo-albanese.

LA DEMOLIZIONE ha suscitato indignazione in tutto il mondo e si sono espresse con durezza diverse figure istituzionali, come la commissaria europea Maryia Gabriel e un gruppo di eurodeputati che hanno chiesto una presa di posizione dell’Ue.

La storia dietro questo brutale atto è lunga e intricata, al cuore di tutto però c’è la protesta civile più longeva d’Albania, che dura ininterrotta, in piazza e nei media, da oltre 27 mesi. Una protesta per impedire l’abbattimento che chiedeva la salvaguardia dell’edificio storico e la sua restaurazione.
«La prima proposta di demolizione risale al 1999» racconta Rajmonda Bulku, attrice icona del cinema albanese, «al suo posto volevano costruire tre alte torri e un teatro nuovo al centro. Terrore. Ci opponemmo fermamente come artisti all’idea che la tradizione venisse cancellata. All’epoca il governo si ritirò, Edi Rama era Ministro della Cultura».

VENT’ANNI DOPO RAMA ci è riuscito, nonostante la feroce opposizione che lo circonda da tutti i lati. Opposizione partitica, con la destra del Partito Democratico, che diserta da mesi il parlamento in segno di protesta, e l’Lsi sulle cui posizioni è ormai allineato anche il poco neutrale Presidente della repubblica Ilir Meta. E opposizione sociale, fatta di gruppi, movimenti e cittadinanza attiva, tornata sulla scena dopo anni di ipnosi neoliberale.

Una compagine eterogenea mobilitata contro la demolizione del Teatro, che non è riuscita a fermare il fronte compatto della maggioranza governativa, guidato dalla Ministra della cultura Elva Margariti, dal sindaco della capitale Erion Veliaj, e dal premier. La trinità esecutiva che, alla fine, ha raso al suolo lo stabile. L’edificio, costruito in stile razionalista dall’architetto Giulio Bertè, era realizzato in populit, un composto di cemento e fibre vegetali, perfetto per l’isolamento acustico, meno adatto a resistere al logorio dei decenni. «Negli anni le condizioni dell’edificio sono precipitate, fino ad arrivare al punto che non funzionavano nemmeno i riscaldamenti» racconta ancora l’attrice Rajmonda Bulku.

IL TEATRO VERSAVA in condizioni di decadimento avanzato, in molti ne chiedevano da anni il restauro. Il 16 febbraio 2018 l’impresa edile multimilionaria Fusha sh.p.k. avanza una proposta al comune di Tirana. L’azienda che è già in possesso di qualche centinaio di metri quadrati nella zona adiacente al teatro, si offre di costruire un nuovo complesso per il pubblico in cambio di migliaia di metri quadrati in uno dei punti più cari della città per farci negozi, uffici e abitazioni di lusso.

Il mantra è quello delle tre P: partenariato pubblico-privato. Un modello che risponde alla contrazione della spesa pubblica, passando la palla ai privati, i quali in cambio di concessioni di patrimonio statale dovrebbero fornire beni e servizi alla cittadinanza. Uno schema che ha mostrato diversi limiti, come illustra una relazione della Corte dei Conti Europea del 2018.

TUTTAVIA LA PROPOSTA di Fusha, insieme alle imprese Kastrati e Edil Al-It, smuove l’apparato statale con la forza di un uragano portando in poche settimane alla presentazione pubblica del progetto, per mano dello stesso premier, con l’esposizione di un rendering avveniristico: un papillon gigante di vetro e cemento. Seguono a una velocità spaziale una perizia ministeriale che dichiara il vecchio edificio pericolante e «troppo caro da ristrutturare», l’istituzione di una commissione edile per la valutazione del progetto privato, che fornisce il suo verdetto positivo nel giro di 24 ore. Il vecchio teatro viene dichiarato inagibile e chiude i battenti nel luglio 2018 e la compagnia viene trasferita nei locali del teatro «Turbina» nel quartiere Tirana Re. Pochi giorni dopo il Parlamento approva una «Legge speciale» che sancisce la demolizione e la ricostruzione per mano privata, sul progetto dello studio danese di archistar Bjarkes Ingels Group. La legge, caso unico di provvedimento parlamentare che assegna senza bando la costruzione di un’opera pubblica, non ha mai superato il vaglio di costituzionalità del presidente della repubblica Ilir Meta. Ma lo spettacolo è andato avanti.

«L’ALLEANZA PER LA DIFESA del Teatro ha iniziato a formarsi nel febbraio 2018 in concomitanza con la proposta avanzata dall’impresa Fusha. Le persone hanno reagito e sono iniziate le proteste che si tenevano una volta a settimana. A giugno del 2018 queste proteste sono diventate quotidiane, anche in risposta all’accelerazione assurda delle autorità. La piazza antistante al Teatro è diventata una agorà pubblica, dove i cittadini esprimevano la loro opinioni, senza che fosse importante l’appartenenza politica». A parlare è Edmond Budina, attore e regista pluripremiato albanese e uno dei volti più eminenti della battaglia.

«DOPO UN ANNO DI PROTESTE nel luglio del 2019 hanno provato a sgombrarci, a quel punto abbiamo deciso di occupare, anzi liberare, il Teatro. Da allora fino al recente lockdown abbiamo ospitato lì dentro 80 spettacoli. Tutti gli artisti, albanesi e stranieri, che hanno portato le loro opere ci hanno mostrato solidarietà. Europa Nostra, una federazione paneuropea per la difesa dei beni culturali, ha inserito il Teatro al primo posto tra i 7 beni culturali di valore europeo più a rischio».

Ma le posizioni del premier e del sindaco sono rimaste immutate. Alla base una visione della città precisa. «Abbiamo ereditato nel 2015 una città in cui non si raccoglieva l’immondizia e non si trovava una strada illuminata» dice al manifesto il sindaco socialista di Tirana Erion Veliaj «Oggi abbiamo dato avvio a una serie di progetti che non pensavo realizzabili in cosi poco tempo. La mia visione di Tirana è quella di una città moderna e non di una collezione di vecchie caserme decadenti della seconda guerra mondiale, che non sono nemmeno protette dall’Istituto dei Monumenti, e non sono né funzionali né ristrutturabili» conclude il primo cittadino. La ricostruzione di Tirana, infatti, non inizia di certo con il teatro.

É DI POCHI GIORNI FA la presentazione di un intervento strutturale nella parte di città che costeggia il fiume Lana, a firma di Stefano Boeri, il Tirana Riverside Masterplan. Il progetto fa parte in una serie di interventi sul piano regolatore della città, affidati al prestigioso studio italiano e avviati dal documento «Tirana 2030» dove sono definite le linee guida per una «futura città caleidoscopica».
«Quello che ha unito i diversi manifestanti in difesa del teatro è stato da una parte la difesa di un’eredità culturale e spirituale, ma anche la lotta contro un processo di accumulazione tramite la privatizzazione dello spazio pubblico» dice Arlind Qori, del gruppo radicale Organizata Politike. E prosegue «il Teatro racchiudeva 80 anni di storia della città e del paese, radendolo al suolo cancelliamo la nostra storia e identità. Dovremmo conservare la storia per ricordarci di quello che siamo stati, e per porci correttamente le domande su come essere migliori».

«QUESTO ATTEGGIAMENTO da “Noi siamo il futuro” “Prima di noi non esiste nulla”, che ha questo governo, è quanto di più antimoderno si possa immaginare. Non è moderno distruggere pezzi di storia per costruire anonimi grattacieli in stile Dubai. L’Albania avrebbe bisogno di molti nuovi teatri e non certo di abbattere quelli che già ci sono. Ma questa lotta continuerà. Stiamo andando di città in città a sensibilizzare e faremo una grande manifestazione nazionale a Tirana per dire che vogliamo che la cultura sia messa al centro in questo paese e il Teatro ricostruito così come era» spiega ancora Edmond Budina.

NEL FRATTEMPO L’ACROBAZIA legale per il partenariato è stata in parte ribaltata dall’annuncio recente dell’amministrazione Veliaj. Secondo le ultime dichiarazioni il nuovo teatro sarà fatto con soldi pubblici. È stata già avanzata la richiesta di un prestito di 30 milioni al un nuovo attore entrato in partita, la European Bank of Investements.

Ma se il progetto del teatro nuovo è ancora avvolto dalla nebbia la certezza è che quello vecchio non c’è più. Un’esecuzione, l’ha definita qualcuno. Eppure la domanda resta sospesa a mezz’aria: «É morto?».