La partita Telecom si allarga e si mischia all’impasse politica e al tentativo di bloccare la calata dei francesi nel (fu) belpaese.

Il giorno dopo la mossa di Vivendi che ha fatto decadere il consiglio di amministrazione di Tim pur di contrastare l’offensiva del fondo americano Elliott, entrano in campo i retroscenisti politici. Che indicano in Silvio Berlusconi e in Carlo Calenda i registi dell’operazione americana. L’intero sistema politico – governo uscente e partiti in predicato di formare il nuovo – sarebbero uniti nel cercare di bloccare i francesi, senza però evitare che Telecom cada in mano straniere, come tutte le società della telefonia.

BERLUSCONI VEDE VIVENDI e il suo proprietario Vincent Bollorè come fumo negli occhi. Per stoppare l’assalto a Mediaset la scorsa estate ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie e in più conosce Elliott molto bene anche per la vicenda Milan: i soldi della vendita arrivano dal fondo americano che diventerà proprietario della squadra di calcio del cavaliere a breve, se – come è ormai certo – il cinese Li Yonghong non ha i soldi per onorare l’acquisto.

IERI MATTINA È ARRIVATA la risposta di Elliott alla mossa di Vivendi, bollata come «cinica e al servizio dei suoi interessi» in quanto «ritarda la possibilità degli azionisti di Telecom Italia di esprimere il loro voto nell’assemblea del 24 aprile», posticipata al 4 maggio. Elliott – che rivendica di essere in Telecom dal 1999, molto prima dei francesi – non esclude poi una battaglia legale per il comportamento dei consiglieri dimissionari: potrebbero essere venuti meno ai loro doveri di amministratori. Insomma, Vivendi è accerchiata.

Ma molti degli uomini indicati dal fondo americano guidato da Paul Singer per diventare consiglieri Tim – Fulvio Conti (ex Enel), Rocco Sabelli (ex Alitalia), Paolo Dal Pino, Luigi Gubitosi – sono tutti molto vicini a Carlo Calenda. L’attuale ministro dello Sviluppo economico – il cui attivismo post elettorale è incessante – giovedì si era già sperticato in lodi per il progetto di Elliott. «È un progetto coincidente a quello che noi intendiamo fare per l’interesse pubblico». Correggendosi subito dopo, forse per non esporsi troppo: «Mi pare che anche Vivendi fosse orientata in questo senso».

LA VERITÀ INFATTI È CHE SIA il piano già presentato dall’amministratore delegato promosso dai francesi – l’israeliano Amos Genish (che potrebbe rimanere anche con Elliott in maggioranza) – che quello prospettato dal fondo americano hanno in comune la separazione della rete – una scelta strategicamente fondamentale per tutto il paese – creando una società autonoma. Divergono invece nella sua proprietà: per Vivendi dovrebbe rimanere totalmente di Tim per massimizzarne i profitti; per Elliott dovrebbe essere quotata in Borsa e in futuro potrebbe anche fondersi con Open Fiber, l’altra società di rete per la fibra ottica creata nel 2015 da Enel e Cassa depositi e prestiti. I maligni sostengono che quest’ultima prospettiva sarebbe caldeggiata dallo stesso Calenda anche per aiutare Enel ad uscire da una impresa già a rischio.

A SPALLEGGIARE ELLIOTT ieri sono arrivati anche i piccoli azionisti. «Peggio di Vivendi non c’è stato niente nella storia di Telecom, dalla privatizzazione con Colannino e poi Tronchetti Provera, Telefonica e via dicendo: una gestione che è tra le peggiori. Noi condividiamo molte delle scelte che ha proposto Elliott, però vorremmo parlarne», spiega Franco Lombardi, presidente di Asati, l’associazione che raggruppa circa settemila piccoli azionisti Telecom, in rappresentanza dell’1 per cento del capitale. Per tutte queste ragioni il titolo Tim – anche ieri in calo – è sotto stretta osservazione. La Consob è «pronta ad intervenire in qualunque momento».

MOLTO PREOCCUPATI ANCHE i sindacati, nonostante la guerra Vivendi-Elliott abbia stoppato il piano Genish che prevedeva 12mila esuberi e la partenza della cassa integrazione a breve. «Non parteggiamo per nessuno – commenta il segretario nazionale di Slc Cgil Marco Del Cimmuto – ma constatiamo che scorporando la rete, entrambe le cordate farebbero dell’Italia il primo paese a fare questa scelta e il primo a non avere una società di telefonia autoctona visto che tutte sono di proprietà estera (Vodafone inglese, Wind Tre russa-cinese). Serve invece l’entrata in Telecom del capitale pubblico perché è un player di sviluppo unico». «Siamo fortemente preoccupati per la contesa fra due gruppi finanziari – spiega Salvo Ugliarolo segretario generale Uilcom – . Non c’è pace per il futuro di Tim. Dispiace vedere il ministro Calenda fare finta di nulla alle nostre richieste di incontro e poi dare giudizi su quanto accade».