La guerra nel Tigray, in Etiopia, è fatta di armi, trincee, strategie, bombe, assalti, ma si nutre anche di parole e silenzi. L’Eritrea, ad esempio, combatte, ma non parla della guerra, distoglie lo sguardo. Il presidente Isaias Afewerki racconta che il Tplf (Fronte popolare di liberazione del Tigray) voleva fare un colpo di stato e invadere Addis Abeba, il piano, ha aggiunto, si fondava sulla «politica di polarizzazione etnica» del Tplf. Il Tplf sostiene, anche in questo caso in modo selettivo, che la guerra in atto è portata avanti da generali eritrei. Getachew Reda vice presidente del Tplf dice che in base alle comunicazioni radio intercettate i generali eritrei danno gli ordini ai comandanti dell’esercito etiope. Dal Tplf spiegano poi che avrebbero fermato l’offensiva etiope e sarebbero passati al contrattacco riconquistando varie zone e città della regione.

APPARENTEMENTE RINVIGORITO da questi eventi il Tplf ha comunicato che detta le condizioni per risolvere il conflitto. Ok al negoziato di pace solo alle seguenti condizioni preliminari: «La forza di invasione aliena (eritrea, ndr) dovrà lasciare immediatamente la terra del Tigray e questo lo deve confermare un organismo internazionale indipendente. L’amministrazione provvisoria va smantellata e va ripristinata quella eletta dal popolo. Deve essere istituito un organo investigativo internazionale indipendente sui crimini di guerra commessi nel Tigray. Devono essere garantiti aiuti umanitari, è quindi necessario un accesso senza restrizioni a organizzazioni internazionali e giornalisti. Infine vanno rilasciati senza condizioni i politici arrestati e il negoziato di pace dovrà essere mediato da un organismo internazionale indipendente».

L’AGENDA ETIOPE ha anche altri fronti da sostenere: le tensioni lungo il confine sudanese per l’area contesa di Al-Fashqa non sono risolte. Il ministero degli Esteri etiope ha affermato di ritenere che «il conflitto strombazzato dall’ala militare del governo sudanese potrebbe servire solo gli interessi di una terza parte a spese del popolo sudanese». La risposta del ministro degli Esteri del Sudan è stata che «la calunnia nei confronti del Sudan e l’accusa di essere un agente di altre parti è un insulto grave e imperdonabile». Un mediatore dell’Unione africana è arrivato giovedì a Khartoum per discutere del conflitto, nonché dei negoziati in corso tra Sudan, Egitto ed Etiopia sulla diga del rinascimento etiope.

C’È POI LA QUESTIONE del declassamento del rating da parte delle agenzie internazionali (Fitch) da B a CCC questo, oltre che per le varie crisi in atto, anche per la tendenza del governo centrale a intraprendere mega progetti con finanziamenti garantiti da creditori esterni, altresì con un interesse elevato. Questo unito alla grave mancanza di valuta estera nel Paese pesa negativamente sulla capacità dell’Etiopia di far fronte ai propri debiti.

L’effetto della pandemia da Covid-19 inoltre ha azzerato il turismo e ridimensionato la produzione di tutte le imprese esportatrici. Il downgrading del debito rischia di vanificare gli sforzi del G20 a sostegno dell’Etiopia in quanto porta a far aumentare il costo dei prestiti.

 

Sahle-Work Zewde (Ap)

 

LA PRESIDENTE DELL’ETIOPIA Sahle-Work Zewde durante una visita a Mekelle ha dichiarato: «Non possiamo fingere di non vedere o sentire ciò che sta accadendo, i bisogni sono enormi». Ha proseguito mettendo in evidenza le violazioni dei diritti umani e in particolare gli atti di violenza sessuale contro le donne. Infatti, come evidenziato dalle Nazioni unite «nonostante alcuni progressi, la risposta umanitaria rimane drasticamente inadeguata e permangono gli attacchi contro i civili, compresi stupri e altre forme di violenza di genere. Le segnalazioni di combattimenti sono aumentate nell’ultima settimana e la presenza di vari gruppi armati ostacola le iniziative umanitarie».

Parla anche il premier Etiope Abiy Ahmed che ha annunciato l’accesso nel Tigray a sette organizzazioni di media internazionali, tra cui Bbc, Reuters, Al Jazeera.