Tra i recuperi più imprevedibili presentati quest’anno in Venezia Classici c’è Thérèse and Isabelle (1968) di Radley Metzger, accompagnato al Lido da Nicolas Winding Refn a cui si deve il progetto di restauro della pellicola. Si tratta della trasposizione del testo omonimo di Violette Leduc, storia d’amore incandescente tra due studentesse in un collegio scritta con una lingua in bilico tra lirismo e realismo che la voce narrante del film prova a restituire nelle scene ellittiche di sesso. Peter Conheim che ha curato il restauro nell’ambito della collaborazione tra la Cinema Preservation Alliance e byNWR, progetto distributivo di Winding Refn, ha dichiarato: «Abbiamo terminato il lavoro da poco. Poiché Therese and Isabelle è uno dei film più noti di Metzger, abbiamo pensato che meritasse di essere visto nella versione che lui stesso preferiva ma che è stata raramente distribuita, cioè quella francofona. Abbiamo quindi recuperato il negativo originale in 35mm e creato una nuova copia digitale con il sonoro in francese che precedentemente era stato abbinato soltanto a una versione di minor qualità. La copia che abbiamo ora ha la più alta definizione mai esistita. Parte della missione di byNWR è quella di restaurare e far rivivere opere sottovalutate perché appartenenti al genere exploitation, ma che secondo noi meritano di essere studiate tanto quanto il canone inteso in senso classico».

Radley Metzger, newyorkese francofilo scomparso nel 2017, con la sua Audubon Films fu regista e distributore di pellicole erotiche con qualche pretesa autoriale. Rispetto all’ardore del testo, il film risulta un po’ algido e più generoso nell’esplorare le architetture del collegio che i corpi delle protagoniste. Metzger si accosta all’amore lesbico in una chiave che all’epoca la rivista Film Quarterly definì più snob che slob, più estetizzante che viscida. C’è da dire che Leduc aveva chiesto al regista di non realizzare un porno, memore forse dell’intricata e amara vicenda editoriale di un testo talmente originale nel trattare la sessualità da essere stato completamente frainteso e poi «massacrato» da una censura incapace di comprenderne il valore poetico. Inizialmente non si trattava di un libro a sé ma dell’incipit di Ravages (1954), espunto dal comitato di lettura di Gallimard, tra cui Raymond Queneau, per evitare lo scandalo. Quelle pagine furono poi rimaneggiate e in parte reinserite in un capitolo de La bastarda (1964) per uscire come volume autonomo nel 1966 e in versione integrale solo nel 2000, dopo la morte dell’autrice.

«Voglio rendere con quanta più esattezza possibile le sensazioni che si provano nell’amore fisico» dichiarò Leduc, figura che continua ad affascinare chi si accosta alla sua scrittura eccezionale, alla trasfigurazione letteraria di un vissuto di abbandoni e di amori contrastati (in primis quello con la madre) e che il cinema ha provato a raccontare con esiti non eccelsi come il biopic Violette (2013) di Martin Provost. All’epoca, il film di Metzger non convinse Leduc, urtata dalla scena di un amplesso consumato sotto al crocifisso di una chiesa che le pareva un espediente troppo provocatorio. Rivedere oggi Thérèse and Isabelle può però farci riflettere su come si è sviluppata la rappresentazione dell’omosessualità femminile al cinema, a partire da un’epoca in cui lo sguardo era per lo più maschile. Attualmente, una coppia di filmmaker italiane ha in preparazione un’opera ispirata liberamente proprio a Thérèse et Isabelle che potrebbe portare una visione tutta nuova sul testo e sul suo spirito.