Per la prima volta, una reazione di fusione nucleare ha fornito più energia di quella consumata per innescarla. Anche se finora circolano solo indiscrezioni e mancano molti dettagli, si tratta di un risultato di grande rilevanza scientifica. Da decenni, infatti, fisici e ingegneri sono alla ricerca di una fonte energetica potente, disponibile e senza impatto ambientale.

La fusione nucleare, con cui anche il Sole genera la sua enorme quantità di calore, avrebbe proprio queste caratteristiche. La prospettiva di utilizzarla su larga scala, tuttavia, è lontana almeno qualche decennio. Troppo, per il sottile margine che ci lascia la crisi climatica.

Secondo le anticipazioni del Financial Times di domenica, il risultato scientifico sarebbe stato ottenuto alla National Ignition Facility (Nif) di Livermore, il centro di ricerca federale statunitense in cui si sperimenta la fusione nucleare a «confinamento inerziale». Con questo approccio, un laser che trasporta 2,1 milioni di joule di energia – quella consumata da un asciugacapelli in mezz’ora – è stato diretto contro una capsula di deuterio e trizio larga un millimetro.

A CAUSA dell’energia trasmessa dal laser, la capsula è «implosa» e ha dato vita a una reazione di fusione che ha prodotto un’energia di 2,5 milioni di joule: un guadagno del 20% rispetto all’energia consumata.

Una reazione in grado di generare più energia di quella consumata non era ancora mai stata realizzata e questo ha attirato un’enorme attenzione mediatica sulla vicenda. Ma ci sono almeno un paio di ragioni per ridimensionare il clamore.

Innanzitutto, la Nif non ha voluto confermare il raggiungimento dell’obiettivo: «Il valore deve essere ancora determinato con esattezza» fanno sapere i ricercatori statunitensi rimandando tutti a una conferenza stampa prevista per oggi.

In secondo luogo, il guadagno energetico non considera che produrre un impulso laser da 2,1 milioni di joule richiede una quantità di energia elettrica cento o duecento volte superiore, vanificando l’impresa. Secondo Tony Roulstone, che insegna energia nucleare all’università di Cambridge, tenendo conto anche di questo «l’energia prodotta è appena lo 0,5% di quella immessa».

È più fiducioso Fabrizio Consoli, capo dell’impianto Abc dell’Enea di Frascati dove si sperimenta un approccio simile a quello statunitense. «Negli Usa – spiega al manifesto – si utilizza una tecnica intrinsecamente poco efficiente perché il laser colpisce l’involucro della capsula. Dirigendo il fascio contro la capsula stessa, come invece facciamo a Frascati, l’energia trasmessa per la fusione è più elevata. Migliorare l’efficienza di uno o due ordini di grandezza oggi sembra un traguardo lontanissimo. Ma solo sei anni fa l’efficienza era cento volte inferiore».

NONOSTANTE il risultato promettente, l’uso della fusione al posto delle fonti energetiche attuali non è imminente. Gli ottimisti parlano di pochi decenni, ma molto dipenderà dalla strategia con cui verrà inseguito l’obiettivo. La fusione a confinamento inerziale studiata a Livermore e Frascati non è l’approccio su cui si punta di più.

Il consorzio pubblico europeo EUROfusion – in collaborazione con Usa, Russia, Cina e Giappone – scommette tutto o quasi sulla fusione «a confinamento magnetico» in cui il combustibile è allo stato di plasma caldissimo (150 milioni di gradi). Anche per questa strategia è stata dimostrata la fattibilità e si sono identificati i principali ostacoli tecnici. Nel confinamento magnetico, la difficoltà maggiore sta nel mantenere il plasma ad alta temperatura per un tempo abbastanza lungo. Nei sistemi a confinamento inerziale, questo problema non c’è.