La procura di Manhattan ha archiviato le denunce nei confronti di 31 dei 46 studenti imputati nell’occupazione dei Hamilton Hall, l’edifico dell’amministrazione di Columbia University. L’ateneo di New York è stato uno dei punti focali della protesta studentesca contro il massacro in Palestina che dura da otto mesi.

I CAMPUS americani sono ormai perlopiù chiusi, i corsi terminati e gli studenti tornati a casa per la pausa estiva. Anche le ultime cerimonie di laurea hanno avuto luogo col loro rituale di aulici discorsi, toghe e cappelli lanciati al vento e quest’anno anche molto di più.

I commencement, così si chiamano le cerimonie di consegna del titolo, sono state invariabilmente segnate dalla contestazione, a cominciare dall’ateneo simbolo di Harvard dove il mese scorso la cerimonia è stata segnata dal boicottaggio degli studenti. Centinaia di giovani e docenti solidali hanno voltato le spalle durante il discorso del rettore Alan Garber e hanno abbandonato l’evento per protestare contro la sospensione di tredici studenti che avevano partecipato all’accampamento contro la strage.

Agli studenti sospesi, l’università ha negato la laurea. Garber è rettore ad interim, nominato sostituto di Claudine Gay, in precedenza radiata dopo essere stata convocata dalla commissione parlamentare per l’antisemitismo costituita da parlamentari filo israeliani.

La scena si è ripetuta analoga la scorsa settimana in California, a Stanford e prima alla Columbia di New York per citare solo alcune delle università più rinomate del paese, dove la generazione destinata a produrre molti dei ceti dirigenti di domani ha impedito che l’orrore palestinese fosse rimosso dall’attuale classe politica che sostiene la carneficina. A Ucla la distribuzione delle lauree è stata interrotta dagli studenti che hanno esibito bandiere palestinesi e alzato mani tinte di rosso sangue, chiedendo l’amnistia per i compagni arrestati nelle violente repressioni di polizia avvenute a Los Angeles, Berkeley, Irvine e altri campus della California.

CON L’ANNO accademico concluso, il movimento per il disinvestimento delle università dal complesso militare finanziario che sostiene Israele, ha in parte riorientato l’attivismo su obiettivi politici, quali il contrasto della lobby filoisraeliana Aipac che perora la causa israeliana con pressioni e lauti finanziamenti bipartisan a parlamentari Usa. In particolare formazioni pacifiste ebraiche come Jewish Voice of Peace e IfNotNow, parte integrante del movimento studentesco, hanno preso ad affrontare direttamente i politici che accettano contributi AIpac e chiedergliene conto in video sui social.

Il diffuso disagio politico per il sostegno americano alla pulizia etnica in corso perdura insomma anche dopo la conclusione dell’anno accademico. Ieri un altro alto funzionario del dipartimento di stato ha annunciato le dimissioni. Andrew Miller, sottosegretario del ministero degli esteri ha aggiunto il proprio nome alla lista di diplomatici statunitensi che hanno lasciato il posto da quando sono iniziate le operazioni militari a Gaza, tra questi Josh Paul, direttore dell’ufficio affari politici e militari, e il maggiore Harrison Mann della Defense Intelligence Agency.

Il mese scorso Lily Greenberg, assistente al capo di gabinetto del ministero degli interni, si era aggiunta alla lista di funzionari dissenzienti dell’amministrazione Biden, molti ebrei, espressione del crescente disagio di diplomatici formati nella dottrina dei due stati, che ora di trovano ad abilitare il governo di ultradestra di Israele che Biden riesce solo formalmente a criticare.

LA SENATRICE Elisabeth Warren, intanto, è divenuta l’ultima esponente progressista ad annunciare che non presenzierà al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso, previsto per il 24 luglio, un intervento, quello del leader incriminato dalla Corte penale per presunti crimini di guerra, che rischia di essere anche un contributo elettorale a Donald Trump. Il partito repubblicano sostiene compattamente Israele, mentre i democratici sulla questione sono sempre più divisi.