«Questi negri arrivano ogni giorno a centinaia, in città. È una vergogna. Quando c’ero io davo un sacco di mazzate. Anche ai ricchioni, ai pedofili, alle puttane che oggi affollano le strade. Chi difende le nostre donne, oggi? Quando c’ero io, invece, non c’erano scippi, furti, rapine ». Qualche minuto prima l’altoparlante annunciava che avrebbe parlato l’onorevole Giancarlo Cito. La piazza, intanto, si era riempita velocemente. Sembrano lontane le adunate oceaniche di vent’anni fa, ma la folla di sostenitori era in estasi, ritmando a gran voce: «Cito, Cito».

SI VOTA OGGI. Taranto è, ancora una volta, il laboratorio di trasformismi e affarismi di ogni genere. Agli inizi degli anni’90, la città dei due mari è stata in una certa misura laboratorio del populismo italiano, proprio con Gian Carlo Cito e la sua Lega d’azione meridionale. Proprietario di due tv locali (Tbm e Super 7) ex picchiatore fascista, espulso dal Msi negli anni’70, Cito divenne sindaco nel 1993, e deputato nel 1996. Dal 2003 al 2007 ha scontato quattro anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Poi, ancora condannato, tra il 2011 e il 2012, in tre diversi procedimenti, a complessivi undici anni e sei mesi di reclusione. Ma in carcere non è più tornato, per gravi motivi di salute. Nelle piazze elettorali e nei salotti televisivi, invece, sì, eccome. È l’eterno ritorno del telepredicatore. Nell’ultimo anno è stato spesso ospite del salotto domenicale di Barbara D’Urso ed è apparso talvolta in trasmissioni (in onda su Rete 4) come Quinta Colonna. Sul piano televisivo locale, Cito ha continuato a condurre Filo diretto At6 la trasmissione che va in onda dal 1991 sulle frequenze delle sue tv. L’onorevole oggi non è più candidabile a causa della condanne ricevute, ma propone il figlio Mario, per la terza volta consecutiva, a sindaco della Città, e l’altra figlia, Antonella, consigliere comunale, nella stessa lista di sempre: At6 lega d’azione meridionale. Così, fa campagna elettorale (e anche i comizi) al posto dei figli. « Il candidato sono io, ma il sindaco sarà papà» ha spiegato Mario Cito in un’intervista a un quotidiano locale, qualche settimana fa. «So che tutti volete lui, perciò ve lo lascio» ha detto il figliol prodigo, dopo tre minuti (cronometrati) di intervento iniziale dal palco di Piazza della Vittoria, lo scorso giovedì. Giancarlo Cito, invece, era un fiume in piena. Ha parlato per un’ora e mezza.

IN OGNI CASO, I CITO rimangono tra i candidati favoriti per raggiungere il ballottaggio. Forte di un patrimonio di oltre ventimila voti; che è lo stesso (più o meno identico) di cinque anni fa, quando il figlio Mario perse al secondo turno contro l’attuale sindaco Ezio Stefano e la sua «grossa coalizione» che andava da Sel all’Udc. Difficile, se non impossibile, fare previsioni su chi sarà il successore del «pediatra dei poveri» eletto con Rifondazione comunista nella prima legislatura, finito a governare con il Pd e il Nuovo centro destra di Alfano e con l’appoggio di alcuni consiglieri fuoriusciti dalla stessa At6, nella seconda. Già, perché Taranto è un laboratorio della follia politica, ma non lo è soltanto a destra.

ALLE SPALLE DEL PALCO, l’occhio ricade su un grosso edificio rosso scuro. Il declino di Taranto è tutto lì. Palazzo degli Uffici. Più di ventimila metri quadrati che per oltre duecento anni sono stati il simbolo culturale della città. Nel cuore del borgo umbertino, ha ospitato per 140 anni il liceo classico Archita. Qui dentro si sono formati, tra gli altri: il magistrato Gian Carlo De Cataldo e lo scrittore Alessandro Leogrande, l’ex presidente del Consiglio, Aldo Moro. Nelle intenzioni dell’attuale giunta comunale sarebbe dovuto diventare un albergo a cinque stelle con annessa galleria commerciale, lasciando un piccolo spazio alla cultura, comunque. Un project financing, in gergo. La vendita di un bene pubblico ai privati con la promessa della ristrutturazione, in cambio di qualche briciola per le casse comunali, in sostanza. È andata che i lavori sono fermi ormai da anni, al centro di una complicata querelle giudiziaria che ha visto il consorzio aggiudicatario destinatario anche di una interdittiva antimafia disposta dalla prefettura di Roma (poi annullata dal Tar del Lazio). Al posto di quel presidio culturale, ora, ci sono solo vetri rotti e cornicioni scrostati, e il tetto che non esiste più. Solo la biblioteca è stata salvata, grazie all’appello di docenti e studenti dello storico liceo classico. Tra di loro c’è Roberto Nistri, filosofo e storico, che è stato insegnante per 30 anni in quel liceo. Di Cito è coetaneo, ma è sempre stato dalla sponda opposta della barricata. «La potenza demoniaca che ci spinge a farci del male», dice Nistri, «ha un nome preciso nella letteratura etnologica: è il trickster. Un piccolo demone, malandrino. Vorrebbe essere un demone, ma è solo un’apprendista stregone. Inventa trucchi, gioca dei tiri, inganna e si auto inganna da solo. Fallisce e ricomincia sempre da capo. È il genius loci dei tarantini». E ancora: «È incredibile come da queste parti non si riesca mai a venire a capo politicamente di niente».

ALLA VIGILIA DELL’APERTURA dei seggi, la Città appare ancora una volta metafora della follia politica italiana. Poteri e contro poteri della città si schierano tutti, ma proprio tutti: i magistrati e la malavita; la digos e gli ultras; gli allevatori distrutti dalle diossine, la Marina militare, gli industriali e gli ambientalisti. 200 mila abitanti, 1.135 aspiranti consiglieri comunali per 32 posti disponibili, 37 liste si contendono il governo del Comune. Nella tornata elettorale in cui Taranto detiene il record dei candidati, in campo ci sono dieci candidati sindaco: il partito democratico schiera sette liste a sostegno di Rinaldo Melucci, imprenditore marittimo, presidente dello Ionian Shipping Consortium «un consorzio di imprese locali costituitosi lo scorso anno per proporre i servizi dello scalo portuale tarantino alle committenze, grandi e piccole». Da Ilva a Eni, fino alle grandi flotte turistiche e commerciali.

Il Pd, però, si è spaccato al suo interno, e una parte appoggia un altro imprenditore, Piero Bitetti, attuale presidente del consiglio comunale, fuoriuscito dal partito qualche mese fa. Bitetti è molto noto e chissà che quest’ultima candidatura non riservi sorprese.
Chiudono il cerchio delle coalizioni che si richiamano al cosiddetto centro-sinistra le candidature di due ex giudici: l’ex procuratore capo della Repubblica, il 76enne Franco Sebastio, che – ironia della sorte – da magistrato ha indagato (processo Ilva) i vertici di quel partito (Vendola e Fratoianni) che ora lo sostengono. Sebastio, infatti, ha l’appoggio di tre liste civiche in cui sono confluiti esponenti di Sinistra Italiana, e di Rifondazione Comunista. Liste civiche (due) sostengono anche un altro ex togato, Massimo Brandimarte, presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto. Fama di garantista, già amico personale di Marco Pannella, candida come capolista due poliziotti assessori con Stefano nell’ultima legislatura. Sic. Un’altra delle favorite è Stefania Baldassari, direttrice del carcere di Taranto, attualmente in aspettativa, si considera una candidata dal profilo civico, ma all’interno delle sue otto liste sono confluiti pezzi importanti della classe politica locale. Da ciò che resta di Forza Italia, che si ricicla con la lista Forza Taranto, ad assessori dell’attuale giunta ancora in carica, Baldassari ha imbarcato tutti. I notabili ora sono con lei. Fiutando un buon risultato, evidentemente. Così, la «direttrice» non si è fatta problemi ad accettare candidature a destra e a manca. Alcune hanno provocato più di qualche polemica. Come quella (poi ritirata) di Aldo De Michele, ex poliziotto della Digos, accusato di essere stato la talpa dell’Ilva all’interno degli uffici giudiziari tarantini, tuttora sotto processo. Non solo. Alfredo Spalluto, ex assessore ai lavori pubblici del Comune con le giunte di centrosinistra, un anno e mezzo fa candidato alle regionali con la coalizione di Michele Emiliano, è da tempo coinvolto (indagato per corruzione) in una indagine della Guardia di Finanza sui lavori di ristrutturazione di alcuni edifici pubblici della Città Vecchia. Nelle liste c’è finito dentro di tutto. Anche qualcuno in odor di mafia. L’avvocato Giuseppe Cagnetta (mai indagato) candidato in una delle otto liste a sostegno di Baldassari, è ampiamente citato negli atti del processo antimafia denominato Alias che si sta celebrando in questi mesi. In particolare, nei dialoghi intercettati tra due boss della malavita tarantina, così si commentava la condotta dell’avvocato: «Quello stupido è venuto da me e mi ha fatto dare mazzate al ragazzo, dice che avanzava soldi per una causa che ha fatto». Per l’episodio che ha visto coinvolto l’avvocato, hanno precisato gli investigatori: «Non si è proceduto per mancanza di querela di parte».

IL PESO DI ILVA. A complicare il quadro è intervenuta l’accelerazione della procedura di vendita dell’Ilva gestita dai commissari straordinari governativi Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba, in favore della cordata guidata dal tycoon Lakshmi Mittal, a capo del gruppo Arcelor. Partner italiano di Mittal è il gruppo Marcegaglia dei fratelli Emma e Antonio, da sempre grandi clienti di Ilva.

L’aggiudicazione definitiva avverrà comunque l’anno prossimo. Sia come sia, l’acquisizione avverrebbe a scapito, ancora una volta, della salute dei tarantini, e dei livelli occupazionali, almeno stando ai piani industriali presentati dai due gruppi in gara per rilevare la fabbrica.

Così, la tensione è sempre più alta. Perché la risoluzione della complicatissima vertenza Ilva appare sempre più lontana da una sua certa definizione, e poi a causa di alcuni incubi che la Città ha rivissuto in questa campagna elettorale. A Taranto si è sparato di notte nei pressi di alcuni comitati elettorali. Due gravi attentati hanno colpito le attività commerciali di alcuni candidati, Michele Patano e Floriana De Gennaro. L’ultimo episodio intimidatorio è avvenuto due settimane fa ai danni dell’auto di Luca Contrario, 42 anni e un passato all’interno dei movimenti sociali della città. Contrario è candidato in una delle tre liste che sostengono la candidatura a sindaco dell’allevatore Vincenzo Fornaro, balzato alle cronache nel 2009, quando il suo gregge fu interamente abbattuto perché si scoprì contaminato dalla diossina sprigionata dall’ Ilva. Per Fornaro è sceso in campo il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Un gemellaggio ideale tra Bagnoli e il quartiere Tamburi, secondo il sindaco: «Entrambi vittime di un processo storico di rapina da parte dello Stato».

DAVANTI AL CRISTO delle Ciminiere che è raffigurato nella chiesa principale del quartiere, in Piazza Gesù Divin Lavoratore, in questa campagna elettorale si sono «inginocchiati» simbolicamente Grillo e De Magistris. Nella piazza che dà le spalle alla zona industriale ha chiuso la campagna elettorale l’avvocato Francesco Nevoli, da sempre vicino ad attivisti, operai, e associazioni ambientaliste. Nevoli è il candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle, uno dei maggiori accreditati a raggiungere il ballottaggio. Nelle sue fila troviamo candidati diversi operai appartenenti al Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, soggetto post-sindacale nato nell’estate del 2012 dopo il sequestro dello stabilimento siderurgico. A suggellare questo matrimonio, accanto a Nevoli, sul palco del quartiere Tamburi c’erano l’attore Michele Riondino e Alessandro Di Battista: «Destra e sinistra hanno preso entrambi soldi dal gruppo Riva» ha detto il parlamentare, avvertendo che: «Se vince Nevoli, almeno nei primi mesi, i poteri forti daranno problemi». Quel che è certo è che Taranto rimane una città strana, perlomeno politicamente. Non semplice da decifrare.