Aveva detto in risposta al dittatore nordocoreano Kim Jong-un: «Il mio bottone nucleare è più grande del tuo». Si è scoperto poi, venerdì scorso, che ciò che vuole Donald Trump è avere a disposizione tanti bottoncini rossi per tante bombe atomiche da un chilotone o giù di lì. Però utilizzabili.

VIA I VECCHI MISSILI balistici, da crociera, lenti e poco precisi, largo a ordigni più moderni e veloci, da montare sui nuovi caccia invisibili F35 o sui sottomarini, per tante possibili «mini nukes». Scenari controllabili solo nella testa di Trump e oltretutto ipotizzabili per lui anche in risposta a «significativi attacchi strategici non nucleari», cioè a cyberattacchi o attacchi a infrastrutture, popolazioni civili e beni strategici sotto il controllo degli Stati Uniti e dei loro alleati da parte di Russia, Cina, Corea del Nord ma anche Iran. È ciò che si legge nell’aggiornamento datato 2 febbraio del Nuclear Posture Review, il piano che contiene le linee guida politico-strategiche a proposito di armamenti nucleari e che non era più stato toccato dal 2010.

E anche se democratici americani come Adam Smith giudicano il piano poco più di lista della spesa propagandistica, la nuova prova muscolare trumpiana non tranquillizza il mondo nel giorno in cui, tra l’altro, il vecchio trattato Start per la non proliferazione delle armi atomiche, risultato del movimento per il disarmo e la pace degli anni ’80 e ’90, scade. Il giorno di scadenza era ieri, anche se esiste una proroga di cinque anni più o meno concordata con la Russia, ora demonizzata da Trump come origine della necessità del nuovo riarmo atomico.

«Il fatto che stiamo entrando in una fase di scadenza dei vecchi trattati internazionali di non proliferazione, non solo Start ma anche Inf, rende la revisione del Nucleare posture review così come è stata fatta dal Pentagono ancora più rischiosa», ammette Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo, partner italiano della campagna Ican vincitrice del Premio Nobel per la Pace quest’anno per il risultato dell’adozione, nel luglio scorso, all’Onu del nuovo trattato per la messa al bando delle armi nucleari.

A LEGGERE IL TESTO Usa (Npr 2018) sembra proprio una contromossa anche dal punto di vista simbolico al nuovo trattato di messa al bando degli arsenali atomici, visto che – come ha fatto notare Daniel Högsta, coordinatore del network Ican nella recente visita a Roma della settimana scorsa – «l’effetto stigmatizzazione del trattato, corroborato dalle parole di papa Francesco e dell’opera di lobbing che stiamo facendo come campagna ha indotto proprio il mese scorso due grandi fondi pensione, uno olandese e l’altro norvegese, a disinvestire in tutte le imprese che fanno affari con le armi nucleari».

Gli Stati Uniti, come del resto tutte le grandi potenze, non hanno aderito al trattato ma Ican è fiducioso di arrivare alla cinquantesima ratifica che manderà in vigore il trattato e sta facendo pressione su tutte le forze politiche e sugli elettori italiani perché Roma sia tra queste, facendo fede alla tradizione che l’ha vista in prima fila per la messa al bando delle mine antiuomo, delle cluster e per la moratoria sulla pena di morte.

IN EUROPA la ripartenza di una escalation di riarmo nucleare a basso potenziale non è apprezzata in Belgio e neanche in Germania. Negli anni ’80 da 70 mila testate dislocate sul suolo tedesco si è passati a 7 mila. Solo in Renania sono custodite nelle basi Usa una ventina di B61, che ora – come le almeno 50 bombe presenti nelle basi Usa di Aviano e Ghedi per cui l’Italia paga 23 milioni di euro l’anno per custodia e «servitù nucleare», come spiega il dossier MilEx 2018 – si appresterebbero a essere sostituite dalle più agili e sofisticate B61-12. La maggioranza dei tedeschi, in un sondaggio,è per il completo ritiro di questi ordigni dal proprio territorio, richiesta ufficializzata da Verdi e Linke al nascente governo Merkel-Schulz.

OPPOSTA è la reazione dell’esecutivo nipponico, che pure dopo aver subìto le bombe a basso potenziale di Hiroshima e Nagasaki, nella nuova logica bellicista anti coreana, si è rifiutato di aderire alla messa al bando e ha espresso, anzi, «grande apprezzamento» per l’Npr 2018.