Viktor Orbán ha indicato il nome di chi dovrà sostituire la presidente dimissionaria Katalin Novák, almeno nei piani del leader danubiano. Trattasi di Tamás Sulyok, attuale presidente della Corte Costituzionale. 

In questo modo il premier cerca di mettere fine allo scandalo scoppiato nel paese una volta diffusa la notizia della grazia concessa l’anno scorso dalla Novák in un caso di pedofilia. 

67 anni, laureato nel 1980 in Scienze Pubbliche e Giurisprudenza all’università di Szeged dove, nel 2013 ha conseguito il dottorato, Sulyok è diventato vicepresidente della Corte Costituzionale nel 2015 e presidente nel novembre dell’anno successivo. Per Máté Kocsis, leader del gruppo parlamentare del partito governativo Fidesz, è il candidato più adatto a ricoprire questo incarico. A suo avviso sarebbe meglio nominare Sulyok al più presto, ma di fatto le tempistiche dell’elezione del nuovo capo di Stato dipendono anche dalla decisione dei partiti dell’opposizione di nominare un loro candidato. Kocsis afferma che le forze governative hanno fiducia nel giurista da loro individuato come successore della Novák, un personaggio che, a dire il vero, è poco noto al grande pubblico. La maggior parte delle forze politiche d’opposizione, invece, critica la scelta e definisce il prescelto un “soldato del Fidesz”. Quattro di esse hanno anche annunciato l’intenzione di indire manifestazioni nella capitale per chiedere che il presidente venga eletto a suffragio universale diretto. 

È nota la profonda frattura che caratterizza la vita politica ungherese e che tiene divise in modo insanabile le forze politiche da quelle del campo avverso. Così, ad esempio, il capogruppo parlamentare del Fidesz ha invitato la sinistra a mettere fine alla “violenza pubblica, al bullismo e alle menzogne”. In conferenza stampa Kocsis si è soffermato sulle condanne a carico di László Varju di Coalizione Democratica (DK, il partito dell’ex premier socialista Ferenc Gyurcsány) e di András Fekete-Győr di Momentum, entrambi per aggressione, e ha detto che i medesimi dovrebbero lasciare la vita pubblica. A suo modo di vedere, in Ungheria sono in aumento i fenomeni di aggressione personale e, a questo proposito, il politico si è riferito alle azioni del movimento “antifa” in Ungheria.

La presidenza di Katalin Novák è quindi durata meno di due anni. È stata la prima presidente donna nella storia del paese e il suo mandato è finito prematuramente e male. Vicepresidente del partito governativo Fidesz fra il 2017 e il 2021 e ministra senza portafoglio delle politiche familiari fra il 2020 e il 2021, è nota come una fedelissima di Orbán insieme a Judit Varga, che aveva dato le dimissioni da ministra della Giustizia per guidare la campagna elettorale europea del Fidesz. Quest’ultima ha lasciato anche questo incarico subito dopo l’annuncio della Novák, per aver dato, all’epoca della grazia contestata, la sua approvazione come ministra. A questo punto sarà Tamás Deutsch, ministro della Gioventù e dello Sport nel primo governo Orbán (1998-2002) e attualmente capo della delegazione del Fidesz al Parlamento europeo, a guidare la lista arancione al voto del prossimo giugno.

Tornando alla situazione interna ungherese, va detto che la notizia del provvedimento di grazia da parte dell’ex presidente ha provocato sdegno e rabbia nel paese e quella che appare essere la più grave crisi politica che Orbán ha dovuto affrontare dal suo ritorno al potere, fatto avvenuto nel 2010. 

Lo scorso 16 febbraio decine di migliaia di persone hanno manifestato a Budapest contro il governo sullo spunto della grazia in questione. Orbán ha paragonato la vicenda delle dimissioni della Novák ad un incubo ma ha riconosciuto che non ci fosse altro da fare in quanto “solo con queste dimissioni e con l’elezione di un nuovo presidente si potrà ristabilire l’equilibrio venuto meno”, ha precisato nel suo discorso annuale al paese. 

Ora, se Sulyok verrà eletto, e la cosa è molto probabile, si tornerà a un presidente di sesso maschile, dopo la breve parentesi di questi ultimi neanche due anni. Quanto al governo, le dimissioni della Varga dal dicastero della Giustizia, avvenute in tempi più o meno non sospetti, hanno portato all’uscita di scena dell’unica donna ministro che c’era.