L’amnistia dei Talebani vale solo sulla carta. Sono più di 100 gli ex membri delle forze di sicurezza uccisi o fatti sparire in 4 delle 34 province afghane, secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch. Reso pubblico ieri, il rapporto No Forgiveness for People Like You («Nessun perdono per gente come te») documenta l’uccisione o la sparizione forzata di 47 ex membri delle forze di sicurezza afghane, tra cui soldati, poliziotti, funzionari dell’intelligence o delle varie milizie pro-governative che si sono arresi ai Talebani o che sono stati catturati tra il 15 agosto e il 31 ottobre.

SECONDO LE INFORMAZIONI raccolte, sarebbero però più di 100 gli omicidi avvenuti solo nelle province di Ghazni, Helmand, Kandahar e Kunduz, «ma i casi riflettono una tendenza più ampia di abusi riportati anche nelle province di Khost, Paktiya, Paktika e in altre». Tra i casi registrati quello di Muhammad, della provincia orientale di Paktika, funzionario della National Directorate of Security, i servizi di intelligence. Prelevato dalla sua abitazione di Kandahar il 30 settembre, il suo corpo è stato ritrovato dai famigliari. L’omicidio, circa 45 giorni dopo la presa del potere dei Talebani, «suggerisce che funzionari di alto grado» dei Talebani «lo abbiano ordinato o che ne fossero almeno consapevoli».

EPPURE LA LEADERSHIP dei Talebani, a Kabul, nega. Anzi, sostiene di aver già fatto molto: il 24 settembre il ministro della Difesa di fatto, mullah Yaqoob – figlio del fondatore dei Talebani mullah Omar – ha riconosciuto «alcuni isolati rapporti» di esecuzioni non autorizzate.

In risposta a una lettera inviata da Human Rights Watch con i risultati della ricerca, i Talebani hanno dichiarato di aver rimosso dai propri ranghi 755 membri e di aver istituito un tribunale militare per i casi di omicidio, tortura, detenzione illegale. Finora, non risulta nessuna inchiesta da parte della Commissione sugli abusi istituita il 21 settembre.

PROSEGUE INTANTO l’attività diplomatica dei Talebani, che a Doha hanno incontrato una delegazione dell’Unione europea guidata dall’inviato speciale dell’Ue, Tomas Niklasson, il quale ha annunciato l’ipotesi di un piano di «sostegno umanitario rafforzato», dietro l’impegno dei Talebani sull’ammorbidimento di alcune politiche. La Germania continua a esercitare un forte protagonismo politico, testimoniato dall’incontro a Doha tra l’ambasciatore per l’Afghanistan (ora a Doha), Markus Potzel, e mullah Amir Khan Muttaqi, ministro degli Esteri di fatto. L’Arabia saudita fa sapere di voler aprire la sezione consolare della propria ambasciata a Kabuil ed esce dal letargo anche l’amministrazione Biden, ancora alle prese con le conseguenze della conquista del potere dei Talebani, con i quali è in corso una battaglia retorico-diplomatica sull’attribuzione delle responsabilità per la gravissima crisi umanitaria in corso nel Paese.

IL 17 NOVEMBRE il ministro di fatto mullah Muttaqi ha indirizzato una lettera ufficiale al Congresso degli Stati uniti, attribuendo ogni responsabilità della situazione al congelamento dei fondi della Banca centrale afghana e dei trasferimenti della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, voluti da Washington.

Ha replicato a distanza due giorni dopo il nuovo inviato speciale degli Usa, Thomas West, che sostituisce l’artefice dell’accordo di Doha sul ritiro delle truppe, Zalmay Khalilzad, e che ha ricordato che è stata la scelta militarista dei Talebani a far scattare sanzioni e congelamento. Nei giorni scorsi Thomas West ha incontrato a Doha una delegazione di Talebani guidata dal ministro degli Esteri di fatto Muttaqi.

Si tratta dei primi colloqui dalla presa del potere dei Talebani. Washington batte un colpo, dunque, dopo l’afasia degli ultimi tre mesi. Ma Biden è ancora incerto. Se dovesse dimostrarsi troppo flessibile, i Repubblicani lo accuserebbero di sostenere il regime repressivo dei Talebani; se non lo facesse, le immagini della catastrofe umanitaria in corso in Afghanistan gli creerebbero comunque un danno politico. Senza il «via libera» di Washington, non sarebbe possibile l’ipotesi al vaglio in queste ore della Banca mondiale: il trasferimento alle agenzie umanitarie di circa 500 milioni di dollari, parte dell’Afghanistan Reconstruction Trust Fund, principale fondo per le attività civili che già dispone di quasi 1,5 miliardi di euro. Congelati da metà agosto.