Taiwan dice no alla Cina ma non dice un sì pieno nemmeno al Partito progressista democratico. Lai Ching-te è il presidente eletto ma il suo Dpp viene disarcionato dalla guida del parlamento.

Nel suo primo discorso subito dopo la conferma della vittoria, Lai ha ringraziato i taiwanesi per «aver scritto un nuovo capitolo della nostra democrazia». Ma non appare un capitolo di facile lettura. Certo, Lai è riuscito a conquistare la vittoria nonostante sia stato più volte additato come un “indipendentista”. Un termine che a Taiwan non significa riconoscere la sovranità de facto di Taipei col nome ufficiale di Repubblica di Cina, retaggio della guerra civile persa da Chiang Kai-shek contro Mao Zedong, ma perseguire una dichiarazione di indipendenza formale come Repubblica di Taiwan.

IN PASSATO Lai si era definito «un lavoratore pragmatico per l’indipendenza» ma il suo presente è fatto di «status quo». È questo il termine più citato da Lai durante la sua campagna elettorale, ma anche nelle parole di ieri sera. Parole moderate, tesa a rassicurare chi lo percepisce come una figura meno prevedibile della presidente uscente Tsai Ing-wen, di cui è stato per quattro anni il vicepresidente. Da una parte ringrazia gli elettori per aver «resistito alle interferenze esterne», riferendosi in modo implicito ma chiaro a Pechino. Dall’altra garantisce che «mantenere la pace e la stabilità sullo Stretto di Taiwan è una missione importante della mia presidenza». E dopo essersi reso disponibile al dialogo «sulla base di reciprocità e dignità» afferma che seguirà «il sistema costituzionale della Repubblica di Cina». Un’aggiunta cruciale, visto che nell’unico dibattito tv tra candidati aveva criticato la costituzione. Una gaffe utilizzata dai rivali per ribadire la sua presunta inclinazione all’indipendenza, che attraverso la precisazione di ieri lui garantisce che non dichiarerà.

IN EFFETTI, non sono molti a voler compiere quel passo. Neppure tra quelli che festeggiano davanti alla sede del Dpp, dove tra le bandiere del partito ne sventolano anche un paio di Ucraina e Israele. Quasi il 90% dei taiwanesi non vuole né l’unificazione (o «riunificazione» come la chiama Pechino) né l’indipendenza, ma lo status quo. Un pragmatismo che si è visto anche dal risultato delle urne. In molti, fuori dai seggi, spiegavano ieri di aver optato per un voto disgiunto tra presidenziali e legislative. Risultato: Lai diventa presidente col 40% delle preferenze, che significano cinque milioni e mezzo di voti. Oltre due milioni e mezzo meno di quelli conquistati da Tsai nel 2020. Hou Yu-ih, l’ex poliziotto candidato del Guomindang (Gmd) si è fermato al 33%, con le sue possibilità di vittoria compromesse dall’ottimo risultato dell’inusualmente serio terzo incomodo, Ko Wen-je del Partito popolare di Taiwan (Tpp) che ha totalizzato il 26%.

Lai Ching-te
Mantenere la pace e la stabilità sullo Stretto è una missione della mia presidenza, ma seguirò il sistema costituzionale della Repubblica di Cina

MA ALLE LEGISLATIVE il Dpp cala nettamente, perdendo per la prima volta dopo otto anni la maggioranza assoluta in parlamento, confermando una tendenza al ribasso ormai chiara: i 68 seggi parlamentari conquistati nel 2016 sull’onda delle proteste del movimento dei girasoli erano diventati 61 nel 2020 e adesso sono 51. A mancare sono soprattutto i voti dei più giovani, che sembrano essersi spostati su Ko, l’ex medico populista che propone una «terza via pragmatica e anti ideologica». Ma cresce nettamente anche il Gmd, che guadagna 14 seggi e diventa così il primo partito a livello parlamentare. Pare abbastanza evidente che la vittoria alle presidenziali sia sfuggita all’opposizione per il naufragio in extremis dell’accordo tra Ko e Gmd per una candidatura unitaria.

Proprio Ko sembra destinato a giocare un ruolo decisivo. Dando per assodata l’inconciliabilità tra Dpp e Gmd, che dal piano politico sfocia anche in quello identitario, sarà proprio il Tpp l’ago della bilancia per dare il via libera o bloccare le riforme. Compreso il budget della difesa, osservato speciale di Xi Jinping.

SUBITO DOPO il voto, Pechino ha ribadito la sua posizione secondo cui la «riunificazione è inevitabile». Probabile che nei prossimi giorni possa esserci qualche reazione più concreta. Sul fronte militare, Taipei si aspetta un aumento delle manovre di jet e navi sullo Stretto, ma non esercitazioni vaste tanto quelle dell’agosto 2022 dopo la visita di Nancy Pelosi. Di certo, dopo essersi limitata a far volare alcuni palloni aerostatici, Pechino potrebbe mettere in mostra mezzi più operativi.

Supporter del Partito progressista democratico celebrano la vittoria di Lai Ching-te alle presidenziali foto Ap
Supporter del Partito progressista democratico celebrano la vittoria di Lai Ching-te alle presidenziali, foto Ap

Da molti è ritenuto invece più delicato il periodo a cavallo dell’insediamento di Lai, previsto per il prossimo 20 maggio. Probabile anche una mossa sul fronte commerciale, con un’ulteriore abolizione delle agevolazioni tariffarie per le importazioni di prodotti taiwanesi. Xi potrebbe calibrare la strategia anche tenendo in considerazione le possibili divisioni interne a Taipei, che potrebbero essere alimentate dalla nomina del battagliero Han Kuo-yu del Gmd alla guida del parlamento.

PARZIALI rassicurazioni alla Cina dalla reazione degli Usa. Joe Biden ha commentato l’esito delle elezioni dicendo semplicemente che gli Usa «non sostengono l’indipendenza di Taiwan». Il segretario di Stato Antony Blinken, invece, si è congratulato esplicitamente su X con Lai e «con il popolo taiwanese per aver partecipato a elezioni libere ed eque, dimostrando la forza del suo sistema democratico». A scaldare la situazione la delegazione che la Casa Bianca dovrebbe mandare già nei prossimi giorni a Taipei.