Sembra profilarsi una svolta per la crisi politica apertasi in Sudan dopo che quattro mesi di ostinate proteste popolari sono sfociate lo scorso 10 aprile nell’arresto del presidente Omar al Bashir e in un golpe militare de facto.

TRA IL CONSIGLIO MILITARE di transizione (Tmc) e l’ampio fronte delle Forze di libertà e cambiamento si è riaperto ufficialmente il dialogo. E la disponibilità da parte dei militari a togliere dalla scena i tre generali islamisti – Omar Zain al-Abideen, Al-Tayeb Babakr Ali Fadeel e Jalal al-Deen al-Sheikh, accusati di torture e abusi di ogni tipo – che più vengono visti come residua propaggine del vecchio regime, potrebbe spianare la strada verso un accordo. Già al termine del vertice che si è svolto nella notte di mercoledì a Khartoum, il portavoce della giunta militare Shams El Din Kabbashi ha detto chiaramente che «il capo dell’esecutivo e il governo di transizione saranno completamente civili», mentre i militari manterranno «solo l’autorità sovrana».

PROVE TECNICHE di collaborazione, confermate dal fatto che i rappresentanti della protesta hanno rimandato l’annuncio dei nomi che dovrebbero comporre l’Autorità civile di transizione, che era in programma per domani. Una pressione in più sui generali, combinata con quella enorme della piazza, il sit in che è andato avanti giorno e notte, dopo l’ultima grande manifestazione del 6 aprile. E che ieri è diventato una oceanica marcia a cui hanno partecipato nella capitale almeno un milione di persone, molte delle quali venute con ogni mezzo dalle altre città del paese per «difendere la nostra rivoluzione». Con una risoluta, numerosa e variegata partecipazione femminile in primo piano.

I DIRITTI DELLE DONNE sono in bella evidenza anche nella Dichiarazione di libertà e cambiamento buttata giù dai rappresentanti della «coalizione di coalizioni» che in queste settimane ha stupito il mondo per il carattere di massa, pacifico e allo stesso tempo indomito della mobilitazione che è riuscita a mettere in piedi. Dentro c’è veramente di tutto, dall’Associazione dei professionisti che da dicembre guidato la protesta nelle strade a Sudan Call, che tiene insieme oltre venti tra partiti e partitini, dal Partiro comunista sudanese al vecchio Umma, il centro nazionalista e islamico che affonda le sue radici nella rivolta mahdista del XIX secolo contro l’occupazione anglo-egiziana; dal movimento Grifina, composto in maggioranza da giovani e donne all’alleanza Nidaa Sudan, con istanze regionaliste eppur panafricaniste da Darfur e Kordofan. Finora a fare da collante è stata l’urgenza di voltare pagina, di fronte a una crisi economica senza precedenti e dopo 30 anni di diritti mortificati. Da domani si vedrà.