Riarmare la Germania. Non è più il massimo tabù della storia contemporanea ma il nuovo corso di Olaf Scholz, prontamente ribattezzato sulla stampa nazionale come «il cancelliere di guerra». Tre giorni dopo la caduta del veto sull’export bellico verso Kiev il capo del governo Semaforo conferma la svolta a 360 gradi della politica estera tedesca, insieme alla fine del pacifismo di Spd e Verdi.

«IL MONDO NON È PIÙ quello di prima» è il preambolo di Scholz prima di annunciare che la Germania (con buona pace della sua Costituzione antimilitarista) stanzierà la cifra-monstre di 100 miliardi di euro per ricostruire la Bundeswehr, mentre la spesa militare annua eguaglierà il 2% del Pil, proprio come richiesto da Washington.

Vuol dire rottamare il «vecchio» multilateralismo costruito nell’ultimo ventennio da Angela Merkel e tornare alla «nuova» Germania-Ovest caposaldo della Nato sul fronte orientale. Conta meno di zero se domenica scorsa mezzo milione di berlinesi ha partecipato alla mega-manifestazione contro la guerra davanti alla Porta di Brandeburgo chiedendo di far tacere le armi e accogliere i profughi.

Come ha sottolineato il vice-cancelliere Robert Habeck dei Verdi, «l’Ucraina è una donna violentata, e chiunque stia a guardare lo stupro è colpevole». Il pacifismo incondizionato scandito dagli ambientalisti fin dagli anni Ottanta? «Naturalmente lo rispetto, ma l’invasione russa richiede misure concrete» taglia corto, visibilmente imbarazzato, il co-leader dei Grünen, il partito che durante le trattative per la formazione del governo si era opposto perfino ai droni armati.

MA L’ELMETTO CALZATO da Scholz incenerisce, di colpo, anche la tradizionale «Ostpolitik» della Spd incarnata dal mentore Willy Brandt, mettendo a tacere per sempre le voci nel partito che appena due anni fa avevano osato chiedere il ritiro delle bombe atomiche Usa dalle basi tedesche.

TIENE IL PUNTO, al contrario, la sinistra al Bundestag: i deputati della Linke hanno denunciato con forza la corsa al riarmo di Scholz rifiutandosi anche di approvare la mozione per la fornitura all’Ucraina di 1000 lanciarazzi, 500 missili anticarro, più gli obici ex Ddr venduti all’Estonia.

«Questa guerra rappresenta di certo una cesura, ma la Linke rimane nel solco della tradizione dei socialisti che oltre cento anni fa si sollevarono contro la devastazione bellica e l’aberrazione nazionalista. Il nostro l’internazionalismo non è mai stato solidale con gli autocrati come Putin; fin da subito abbiamo chiesto la fine dell’invasione e l’immediato ritiro delle truppe russe. Il governo Scholz ha scelto invece di stanziare miliardi per la Bundeswehr fissando la spesa bellica al 2% del Pil. Significa militarizzazione senza precedenti della Germania, ma il riarmo è vietato dalla Costituzione» è la linea delle co-segretarie Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissler.

A Francoforte, intanto, la Borsa festeggia l’impennata da record (+48%) del titolo Rheinmetall, colosso delle armi made in Germany pronto a aumentare la produzione di munizioni, elicotteri, carri armati e blindati, come ha confermato ieri a Monaco il Ceo, Armin Papperger.

SUL TAVOLO DELL’INDUSTRIA bellica nazionale apparecchiato dalla ministra della Difesa, Christine Lambrecht (Spd), 42 miliardi di euro in commesse statali, quasi metà del fondo speciale stanziato da Scholz. Mentre al di là delle rassicurazioni a cittadini e imprese del ministro dell’Energia Habeck, la strategia del governo Scholz per sostituire il gas congelato con lo stop politico al Nordstream-2 appare solo a uso mediatico. Il cancelliere ha dato luce verde alla costruzione di due rigassificatori offshore che già da progetto non riusciranno a compensare i milioni di metri cubi di metano perduti con l’embargo a Gazprom.

E CON IL TOTEM DEL RIARMO cade anche il diktat del debito-zero. Secondo il ministro delle Finanze, Christian Lindner (Fdp), ex falco dell’Austerity, il deficit bellico di Berlino non mette a rischio la stabilità dell’Eurozona. Nonostante la montagna di denaro corrisponda a 100 volte il bonus sanitario per il personale ospedaliero durante la pandemia, 37 volte il budget per l’Ambiente e tre volte la spesa complessiva per la Sanità.

Una briciola rispetto ai 16 milioni che la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, ha destinato all’accoglienza dei rifugiati, cui si aggiungono i cinque girati al fondo umanitario Onu per l’Ucraina e dieci versati al Comitato internazionale della Croce Rossa. Denaro contato fino all’ultimo cent, ampiamente insufficiente per mettere in piedi la riedizione della «Politica di Benvenuto» che nel 2015 fece vacillare perfino la cancelliera Merkel. Lo sa bene il Land di Berlino, da ieri alle prese con la prima ondata di profughi ucraini da ospitare provvisoriamente nel nuovo centro-rifugiati di Reinickendorf.