La Siria vive una realtà tragicamente unica: alle distruzioni e all’impoverimento della guerra ecco aggiungersi le macerie di un terremoto potentissimo, nell’inverno forse peggiore degli ultimi anni, fra povertà diffusa, freddo, penuria di cibo e combustibile.

Sotto la pioggia, con scarsi mezzi, i soccorritori cercano sopravvissuti. Suor Arcangela, italiana, da molti anni lavora all’ospedale St Louis di Aleppo: «Siamo in piena confusione, feriti e morti che ci arrivano al pronto soccorso… La parte vecchia dell’ospedale è un po’ danneggiata ma in piedi. Qui manca tutto e fa freddo. E i palazzi continuano a crollare».

In quell’ospedale era stato curato Mahmoud, rimasto senza gambe nel 2016 dopo la fuga notturna con i suoi parenti dal villaggio invaso dall’Isis, attraverso campi minati. Mahmoud è salvo, fa sapere un medico che lo ha in cura, ma con la famiglia è ospitato in una scuola, la casa non è sicura.

Sempre ad Aleppo, riferisce un tweet di Ora pro Siria, è stato estratto vivo dalle macerie l’arcivescovo emerito greco melchita cattolico Jean-Clèment Jeanbart, mentre padre Imad Daher, sacerdote della parrocchia Vergine Maria, è fra i molti cittadini di cui non si hanno notizie, sotto le decine e decine di palazzi distrutti, soprattutto a al-Firdous, Salah al-Din, Bustan al Qasr. Si sono subito attivati centri di accoglienza per chi è rimasto senza casa.

Da Damasco Jouan, giovane militante del piccolo Partito comunista unificato, che si sta organizzando per contribuire agli aiuti a chi ha perso tutto, elenca i luoghi più colpiti: «Aleppo, poi Idlib, Hama, Homs, Latakia. Gli abitanti dell’isola di Arwad temono uno tsunami e altre forti scosse».

Ad Azeir, fra Homs e Tartous, si trova il monastero delle suore trappiste da tempo attivo in opere sociali. Non hanno avuto danni, ma l’italiana suor Marta dice accorata: «Almeno la finiscano con le sanzioni: questo povero popolo cosa deve ancora sopportare?».

Già: oltre al fatto che buona parte del paese, con le sue risorse agricole ed energetiche, è ancora occupata da forze esterne, contribuiscono all’emergenza le misure internazionali imposte dagli Stati uniti e – seppure in tono minore – dalla stessa Ue. Lo ha detto lo scorso novembre la giurista Alena Douhan, special rapporteur delle Nazioni unite sull’impatto delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani. In attesa di consegnare il rapporto definitivo al Consiglio Onu dei diritti umani, la relazione preliminare dopo la visita nel paese è stata chiara: «Chiedo la fine immediata delle sanzioni alla Siria. Dodici milioni di persone sono in condizioni di insicurezza alimentare, il 90% della popolazione vive in povertà» mentre «più di metà delle infrastrutture vitali sono distrutte o gravemente danneggiate e le misure coercitive sono di grave ostacolo agli sforzi di ripresa e ricostruzione».

Le massime istituzioni europee hanno già dichiarato alla Turchia ma anche alla Siria «solidarietà piena», pianto con le famiglie delle vittime e dato disponibilità «ad aiutare in ogni modo possibile». Come tradurranno queste buone intenzioni?